Dunque, vediamo di fare il punto della situazione.
Partiamo dall’ultima notizia: occorre ribadire, per chi ancora non l’avesse capito, che i tagli alla scuola hanno gravemente ridotto il personale di sostegno nelle classi.
Eclatante la recente testimonianza della mamma che dichiara d’essere costretta ad andare in classe con il figlio disabile perchè altrimenti il ragazzo non avrebbe nessuno disponibile ad accompagnarlo in bagno.
E non perchè si sia perso il lume della ragione, ma perchè questo incarico o viene ottemperato come si è sempre fatto, da un docente incaricato per questa assistenza specifica su un programma di lavoro personalizzato, il cosiddetto Piano educativo individuale, oppure in alternativa per queste specifiche esigenze circoscritte interviene un collaboratore scolastico che per chi non lo sapesse ancora, sono i famigerati bidelli che non stanno nella scuola solo per pulire le aule ed i bagni dove ogni giorno i nostri figli si recano, forse per loro disgrazia, ma per assistere gli alunni e per fare sorveglianza.
Ebbene, i tagli hanno inciso in modo serio sia sul sostegno , che sulla presenza ausiliaria, che sull’offerta formativa, che sulla presenza docente, ed infine sulla presenza amministrativa e tecnica del comparto scuola. Il personale scarseggia, si fa allora quello che si può, mi sembra ovvio.
E’ giusto però che la gente lo sappia e non si lasci menare via da cronache e da slogan che non dicono la verità. Quelli che non hanno i loro figli nelle scuole private o nelle scuole all’avanguardia, e che pur mandandoli nelle scuole dello Stato vorrebbero un servizio adeguato, devono sapere quello che succede.
In molte scuole i bidelli che sono diminuiti devono fare l’orario spezzato per garantire la pulizia dei locali, perdendo l’ennesimo banale privilegio che spetterebbe loro da contratto e questo, cosa ben più grave, a discapito della stessa sorveglianza. Gli amministrativi che sono diminuiti proprio quando il lavoro arretrato del vecchio Provveditorato è ricaduto tutto sulle loro spalle (vedasi lo smantellamento degli Uffici scolastici che non svolgono più le funzioni di direzione centrale), non possono garantire al personale, docenti in primis, la loro Ricostruzione di carriera, che vuol dire che rimarranno senza un adeguato stipendio…; i tecnici che sono diminuiti non possono garantire l’assistenza adeguata nei laboratori che si sposta a carico del solo docente che a sua volta ha un aumento di utenza da soddisfare ed anche minore disponibilità di supporto da parte dei colleghi. Insomma, è tutto un giro di boa.
Abbiamo sentito riferirci da ogni dove che la coperta è troppo corta e che se si cerca di coprire le spalle rimangono scoperti i piedi e così via.
L’altro ieri è arrivata nel mio istituto una nuova docente proveniente da Napoli alla sua prima assunzione annuale nello Stato. Per lei è un periodo di festa e non di lamenti; ci racconta che per fare punteggio e riuscire ad ottenere questa sua prima nomina, ha dovuto lavorare per dieci anni gratis nelle scuole private della sua regione, perchè là funziona così, siccome non c’è lavoro per i precari o ti adatti a fare volontariato con la speranza di raggiungere la vetta della nomina annuale, o rinunci ad insegnare. Ecco che il precario diventa una figura ricattabile, che evidentemente fa comodo averla così…
Bisogna decidere una volta per tutte se la scuola è importante oppure no, se i docenti servono oppure no, se la crisi debba flagellare proprio la formazione insieme alla sanità oppure no, o non debba piuttosto andare a colpire i privilegi (quelli sì veri, quelli sì insostenibili e scandalosi) di questa classe di buffoni che ci governa da troppo tempo.
E non è per dare spago a Grillo che non ha certo bisogno della mia piccola voce, ma per testimoniare il mio disgusto all’ingiustizia palese di questo stato di cose. I veri privilegiati ed intoccabili da una parte, quelli che fanno finta di governare, e i poveri cristi nullatenenti e nullaparlanti dall’altra.
Al protocollo arrivano le domande salvaprecari; ognuno ha la sua storia da raccontare, di gente sposata con figli che non sa ancora ad oggi, dopo un mese dall’inizio dell’anno scolastico, se quest’anno lavorerà oppure no.
D’accordo, il sistema scolastico non è un ammortizzatore sociale, d’accordo, nel pubblico c’è sempre stato un andazzo di fancazzismo che tra le tante ragioni ci ha portato a questa cattiva situazione; ma allora, se dobbiamo punire i fancazzisti, perchè punire tutti a pioggia, perchè punire anche chi ha sempre lavorato con onestà, perchè punire chi ha sempre dato alla scuola le sue migliori risorse, e vi assicuro che ne conosco varia di questa gente; e perché punire solo la scuola? Anzi , proprio la scuola?
E mentre che i plessi, i circoli, gli istituti, le università e così via sono state prese a sprangate (metaforicamente parlando), cosa fa il governo? E’ tutto riunito in Parlamento a votarsi la fiducia; fiducia per cosa? qual’è l’oggetto del contendere?
Sì, apriamo proprio gli occhi una volta per tutti. Ci sono due realtà di cui un paese civile e progredito necessita, io credo: di un buono stato sociale e di una sana piccola imprenditoria che possa svilupparsi e dare lavoro (oltre la forza industriale delle grandi risorse).
Riforma fiscale? riforma elettorale? riforma della giustizia? si certo, tutte urgenti, ma dopo due anni di governo non se n’è ancora vista traccia.
Io personalmente non ci credo più, mi sembra evidente che non siamo non dico nel cuore ma nemmeno nel cervello della politica, e che là dove ci potremmo stare mancano delle regole, degli strumenti e delle capacità a farsì che il paese riesca ad essere saggiamente governato.
La macchina che si occupa di formazione è un motore assai complesso.
Facciamo esempi concreti; io sono inserita nelle graduatorie dello Stato come amministrativa di ruolo e come docente non di ruolo; secondo la normativa posso accedere all’insegnamento solo ottenendo incarichi annuali, che però in un momento come questo non mi arrivano, visto che riesco ad ottenere solo domande di supplenza temporanea che non posso accettare.
Sono anche inseribile in una graduatoria della regione Lombardia come tutor, ma di fatto la regione Lombardia non sta attingendo a questa graduatoria fantasma preferendo utilizzare il personale già in servizio che naturalmente pur di fare di più si rende sempre disponibile andando a danneggiare chi avrebbe solo alcune limitate possibilità di lavoro.
Sono anche inseribile in una graduatoria che prevede il profilo dei cosiddetti Vicari, che sono i vice direttori amministrativi, ma di fatto questa cosa è solo per il momento solo sulla carta (parlo di nuovi profili emergenti ma ancora non disciplinati).
In tutto questo intreccio di graduatorie e meccanismi contrattuali, ci si chiede: ma perchè dare, quando possibile, a qualcuno troppo lavoro e ad altri niente? Primo problema.
Secondo problema: la scuola non è un’azienda, non prioritariamente e non solo: non per nulla sono state conservate anche dopo l’ingresso del DSGA le due figure dirigenziali, il cosiddetto Dirigente scolastico, ex preside, ed il cosiddetto Direttore dei servizi generali amministrativi, il cosiddetto ex segretario, figura numero due del quadro direttivo.
Il primo si occupa di didattica, il secondo si occupa di bilancio; con l’Autonomia scolastica entrata a regime nell’anno 2000, la scuola è sì diventata una sorta di azienda che deve rendere conto di ogni sua entrata e di ogni sua uscita, nel senso che il controllo fiscale da parte dell’Ufficio scolastico e dei suoi Revisori dei Conti è diventato di fatto la sola cosa funzionante e garantita, almeno nelle Regioni dove c’è produttività, dove c’è la cultura dell’impresa, dove c’è forza lavoro e dove c’è trasparenza e controllo. Insomma, dove esiste lo Stato.
Ma è ai dirigenti che io espressamente mi rivolgo; loro non sono contabili, con la contabilità devono sì confrontarsi ma non arrendersi; loro sono ex insegnanti che smettono di insegnare tra i banchi ma che continuano a farlo da un ufficio, apprestandosi a mettersi alla guida di un motore che ha come finalità prima la formazione dei propri alunni. Punto.
Sul territorio nazionale emerge una realtà a macchia di leopardo; territori di eccellenza contro territori, la scorsa citata realtà campana, di degrado e di oscurantismo generale.
La tendenza scaturita dall’autonomia è la divisione delle competenze; i comuni hanno competenze sulla scuola dell’infanzia e di primo grado, le province hanno competenza sulle scuole di secondo grado, la nazione ha competenza sulle direttive generali..
Da una logica di programmazione rigida e calata dall’alto si è passati, sempre con le riforme passate, quelle vere, ad una logica di programmazione differenziata, sperimentale, che ha dato forma a diversi indirizzi, alcuni molto molto validi, altri forse decisamente dispersivi e comunque dispendiosi sotto il profilo del tornaconto, della ricaduta spendibile nel mondo del lavoro.
E’ noto che il problema primo della scuola è il suo scollamento dal mondo dell’impresa. Da qui si può comprendere l’urgenza del novello riordino degli istituti di ordine professionale sui quali la Regione reclama il suo legittimo interessamento.
Ammesso che alcune Regioni possano realmente fare da gestori di queste realtà (ma sono una stretta minoranza) vi sono tutte le altre regioni che non hanno gli strumenti e la cultura di questa forma di imprenditoria formativa. Cosa fare di queste situazioni? Si è tanto conclamata l’importanza del sapere fare accanto all’importanza del sapere, a patto che il saper fare non diventi solo il fare a conseguenza dell’annullamento del sapere.
All’incontro di venerdì primo ottobre, organizzato dalla Cisl Scuola con tutti gli attori sociali coinvolti del territorio ed intitolato Scuola e Lavoro in Brianza, ci sono tutti: l’assessore della neonata provincia, il rappresentante di Confindustria, la rappresentante delle pari opportunità della Regione, il segretario generale Cisl Monza e B., il seg. Generale Cisl Scuola, il direttore del neonato Ufficio Scolastico Provinciale di Monza, la dirigente scolastica di un circolo didattico d’eccellenza, la Confcommercio, il presidente dell’ANCI ed un rappresentante dell’ex Provveditorato di Milano, che però rimane in sala senza prendere parola, quasi ad essere venuto solo per potere fare da semplice referente.
Ognuno porta la sua analisi, concepita secondo il proprio taglio, la propria priorità; dal modo di relazionare emerge anche la personalità del relatore di turno; chi si pavoneggia con un eccesso di protagonismo quasi disgustoso; chi molto praticamente riporta dati sull’indice di disoccupazione e sulla disponibilità di posti lavoro che rimangono senza offerta, sull’evoluzione culturale che è passata dalla visita guidata allo stage lavorativo ed all’alternanza scuola lavoro.
Le logiche dominanti sono accorpamenti e razionalizzazione delle spese, mancano invece servizi sociali adeguati, servizi familiari che possano fare bene conciliare le esigenze della famiglia con le esigenze del lavoro; manca anche una cultura che veda il peso della gestione dei figli parimenti suddiviso tra i due genitori e non solo sempre solo sulla madre che viene di gran lunga penalizzata.
Si parla di progetti pilota che nascono in Lombardia per sperimentare il modello francese, molto attento alle esigenze della famiglia; si parla dell’importanza del lavorare in rete, nel senso del lavorare in squadra, dove tutti gli attori interessati vengono coinvolti e motivati a dare il meglio di sé. Qualcuno accenna al progetto vincente l’Isola che non c’è…e si parla della crescita zero della natalità italiana se non si conta la natalità che proviene dalle famiglie di derivanza straniera.
Quando parla la dirigente del quarto circolo didattico di Monza, la dottoressa Anna Cavenaghi, emerge tutta la reale conoscenza di chi la scuola la vive dalla base da oltre vent’anni; con il viso arrossato di chi non è avvezzo a sedersi ai tavoli illustri ma solo avvezzo a stare tra i banchi dei propri alunni, concitatamente parla di uno stato di trincea; da un lato elenca una serie di iniziative locali che hanno dato la possibilità di garantire alcuni servizi indispensabili, tutto come conseguenza dell’impegno di liberi professionisti che solo per coscienza professionale ed umana si prestano a garantirli, come l’assistenza al problema del disagio giovanile ed infantile, dell’integrazione razziale e del sostegno ( sono nate in questo clima le educazioni stradali, le ed. sessuali, le ed. alimentari e lo sportello di consulenza psicologica); dall’altro lato elenca le inefficienze del sistema scuola che si deve avvalere di un meccanismo di assunzione farraginoso e non efficace, dove il precario è precario a vita, e non si capisce il perché, visto che il servizio lo offre, e se lo offre vuol dire che serve…per non parlare della retrocessione al maestro unico e al tempo pieno dato solo per scelta della maggioranza locale, che detto così sembra una cosa legittima, ma significa retrocedere dalla qualità e nella capacità d’essere competitivi. La dirigente ci porta dati precisi: dell’intera popolazione scolastica il 35% è svantaggiata, il 25 è straniera, il 5 è disabile e solo il 35 è cosiddetta normale. Forse per chi non lavora in questo mondo tutto questo sarebbe motivo di resa e di inagibilità, ed invece questo incredibile mondo della nostra società ha imparato da tempo a convivere, quando la si lascia lavorare tranquilla, con i suoi mille problemi.
Per nulla togliere alle singole iniziative felici di qualche illuminato, la dottoressa accenna al progetto CREI ( Centro Risorse dell’Educazione Interculturale) voluto dal dott. Dutto, all’epoca direttore generale del Centro Scolastico Amministrativo di Milano, quindi denuncia un sistema inefficace; il sistema è inefficace perché l’autonomia è più solo sulla carta che nella concretezza dell’azione e perché esiste una classe dirigente scolastica non adeguatamente formata al sapere fare il bene della scuola e non il bene della propria immagine; il sistema è inefficace perché la categoria docente è stata denigrata, infangata, svilita, data in pasto all’opinione pubblica che invece, prima di essere coinvolta dovrebbe essere informata di tutto, e tutto tra l’indifferenza dei politici (e dei sindacati) che avrebbero dovuto fare un’ effettiva opposizione; il sistema è inefficace perché c’è lo scollamento tra categoria Ata e categoria docente, che invece dovrebbe lavorare comunque in simbiosi; l’ammutinamento del personale Ata potrebbe mettere in ginocchio qualunque seppur faraonico progetto educativo, e questo alcuni stessi docenti ancora faticano a capirlo. Come già detto, ormai tutto il lavoro che facevano una volta gli ex provveditorati è ricaduto sulle singole scuole, sul personale specifico; da qui il bisogno di una specifica formazione allargata al personale medesimo, mentre invece si tagliano fondi e risorse e si continua a parlare sempre e soltanto di personale docente come se il personale Ata non esistesse e non fosse un anello protagonista del mondo dell’istruzione.
Anche l’intervento di Confindustria è illuminante; nello stile di chi è avvezzo a fare i conti, si dice che il problema primo è l’abisso presente tra il mondo della scuola fatto di pensiero, di continuità, di garanzie, di progetti medio lunghi, con il mondo del lavoro fatto di azione, di cambiamenti repentini, di rinnovamento continuo, di progetti a medio-corto termine, di flessibilità.
E poi ci sono i lavori che vanno sempre di moda come il ragioniere e quelli che mancano ma ce ne sarebbe un grande bisogno, come i meccanici e gli esperti di tecnologia alternativa.
E poi c’è il rischio della dispersione scolastica che è anche dispersione economica.
E poi c’è l’incoerenza già sottolineata tra la riduzione degli organici e del piano offerta formativa (POF) con il bisogno di fare una nuova e più efficace programmazione, la sola capace di rispondere alle esigenze del territorio che non è per nulla uguale ovunque e con il suo bisogno di rimanere sempre all’avanguardia, perché se da noi non si fa ricerca ci sono gli altri che la faranno al nostro posto, a nostro discapito.
Solo sotto l’ottica dell’integrazione scuola lavoro sono nati i progetti di orientamento, di sportello designer, di learning week e di sostegno all’imprenditoria adulta, ossia di chi non più giovane vuole cimentarsi in questa avventura ricevendo delle sovvenzioni.
Il mercato richiede per il 25% laureati, per un altro 25 persone senza specifica formazione, per un altro 40 persone diplomate e per il restante 10 liberi professionisti.
Sotto l’avvento delle nuove tecnologie per la prima volta sono i giovani che hanno da insegnare ai vecchi, ai loro maestri più attempati. Emergono nuove figure di esperti; si ribadisce ennesimamente la centralità della circolazione dei saperi e dello scambio delle competenze. Lavorare in squadra, soprattutto nel pubblico, significa vincere, ma purtroppo questa buona pratica non è ancora patrimonio della cultura lavorativa che i dirigenti non incoraggiano abbastanza.
Le cose da dire sono state talmente varie che le quattro ore di presentazione volano via.
Verso le tredici e trenta ci si alza per andare al buffet.
Dunque, vediamo di fare il punto della situazione.
Partiamo dall’ultima notizia: occorre ribadire, per chi ancora non l’avesse capito, che i tagli alla scuola hanno gravemente ridotto il personale di sostegno nelle classi.
Eclatante la recente testimonianza della mamma che dichiara d’essere costretta ad andare a scuola con il figlio disabile perchè altrimenti il ragazzo non avrebbe nessuno disponibile ad accompagnarlo in bagno.
E non perchè si sia perso il lume della ragione, ma perchè questo incarico o viene ottemperato come si è sempre fatto, da un docente incaricato per questa assistenza specifica su un programma di lavoro personalizzato, il cosiddetto Piano educativo individuale, oppure in alternativa per queste specifiche esigenze circoscritte interviene un collaboratore scolastico che per chi non lo sapesse ancora, sono i famigerati bidelli che non stanno nella scuola solo per pulire le aule ed i bagni dove ogni giorno i nostri figli si recano, forse per loro disgrazia, ma per assistere gli alunni e per fare sorveglianza.
Ebbene, i tagli hanno inciso in modo serio sia sul sostegno , che sulla presenza ausiliaria, che sull’offerta formativa, che sulla presenza docente, ed infine sulla presenza amministrativa e tecnica del comparto scuola. Il personale scarseggia, si fa allora quello che si può, mi sembra ovvio.
E’ giusto però che la gente lo sappia e non si lasci menare via da cronache e da slogan che non dicono la verità. Quelli che non hanno il loro figli nelle scuole private o nelle scuole all’avanguardia, e che pur mandandoli nelle scuole dello Stato vorrebbero un servizio adeguato, devono sapere quello che succede.
In molte scuole i bidelli che sono diminuiti devono fare l’orario spezzato per garantire la pulizia dei locali, perdendo l’ennesimo banale privilegio che spetterebbe loro da contratto e questo, cosa ben più grave, a discapito della stessa sorveglianza. Gli amministrativi che sono diminuiti proprio quando il lavoro arretrato del vecchio Provveditorato è ricaduto tutto sulle loro spalle (vedasi lo smantellamento degli Uffici scolastici che non svolgono più le funzioni di direzione centrale), non possono garantire al personale, docenti in primis, la loro Ricostruzione di carriera, che vuol dire che rimarranno senza un adeguato stipendio…; i tecnici che sono diminuiti non possono garantire l’assistenza adeguata nei laboratori che si sposta a carico del solo docente che a sua volta ha un aumento di utenza da soddisfare ed anche minore disponibilità di supporto da parte dei colleghi. Insomma, è tutto un giro di boa.
Abbiamo sentito riferirci da ogni dove che la coperta è troppo corta e che se si cerca di coprire le spalle rimangono scoperti i piedi e così via.
L’altro ieri è arrivata nella mia scuola una nuova docente proveniente da Napoli alla sua prima assunzione annuale nello Stato. Per lei è un periodo di festa e non di lamenti; ci racconta che per fare punteggio e riuscire ad ottenere questa sua prima nomina, ha dovuto lavorare per dieci anni gratis nelle scuole private della sua regione, perchè là funziona così, siccome non c’è lavoro per i precari o ti adatti a fare volontariato con la speranza di raggiungere la vetta della nomina annuale, o rinunci ad insegnare. Ecco che il precario diventa una figura ricattabile, che evidentemente fa comodo averla così…
Bisogna decidere una volta per tutte se la scuola è importante oppure no, se i docenti servono oppure no, se la crisi debba flagellare proprio la formazione insieme alla sanità oppure no, o non debba piuttosto andare a colpire i privilegi (quelli sì veri, quelli sì insostenibili e scandalosi) di questa classe di buffoni che ci governa da troppo tempo.
E non è per dare spago a Grillo che non ha certo bisogno del mia piccola voce, ma per testimoniare il mio disgusto all’ingiustizia palese di questo stato di cose. I veri privilegiati ed intoccabili da una parte, quelli che fanno finta di governare, e i poveri cristi nullatenenti e nullaparlanti dall’altra.
Al protocollo arrivano le domande salvaprecari; ognuno ha la sua storia da raccontare, di gente sposata con figli che non sa ancora ad oggi, dopo un mese dall’inizio dell’anno scolastico, se quest’anno lavorerà oppure no.
D’accordo, la scuola non è un ammortizzatore sociale, d’accordo, nel pubblico c’è sempre stato un andazzo di fancazzismo che tra le tante ragioni ci ha portato a questa cattiva situazione; ma allora, se dobbiamo punire i fancazzisti, perchè punire tutti a pioggia, perchè punire anche chi ha sempre lavorato con onestà, perchè punire chi ha sempre dato alla scuola le sue migliori risorse, e vi assicuro che ne conosco varia di questa gente; e perché punire solo la scuola? Anzi , proprio la scuola?
E mentre che la scuola è stata presa a sprangate, cosa fa il governo? E’ tutto riunito in Parlamento a votarsi la fiducia; fiducia per cosa? qual’è l’oggetto del contendere?
Sì, apriamo proprio gli occhi una volta per tutti. Ci sono due realtà di cui un paese civile e progredito necessita, io credo: di un buono stato sociale e di una sana piccola imprenditoria che possa svilupparsi e dare lavoro (oltre la forza industriale delle grandi risorse).
Riforma fiscale? riforma elettorale? riforma della giustizia? si certo, tutte urgenti, ma dopo due anni di governo non se n’è ancora vista traccia.
Io personalmente non ci credo più, mi sembra evidente che non siamo non dico nel cuore ma nemmeno nel cervello della politica, e che là dove ci potremmo stare mancano delle regole, degli strumenti e delle capacità a farsì che il paese riesca ad essere saggiamente governato.
La macchina che si occupa di formazione è un motore assai complesso.
Facciamo esempi concreti; io sono inserita nelle graduatorie dello Stato come amministrativa di ruolo e come docente non di ruolo; secondo la normativa posso accedere all’insegnamento solo ottenendo incarichi annuali, che però in un momento come questo non mi arrivano, visto che riesco ad ottenere solo domande di supplenza temporanea che non posso accettare.
Sono anche inseribile in una graduatoria della regione Lombardia come tutor, ma di fatto la regione Lombardia non sta attingendo a questa graduatoria fantasma preferendo utilizzare il personale già in servizio che naturalmente pur di fare di più si rende sempre disponibile andando a danneggiare chi avrebbe solo alcune limitate possibilità di lavoro.
Sono anche inseribile in una graduatoria che prevede il profilo dei cosiddetti Vicari, che sono i vice direttori amministrativi, ma di fatto questa cosa è solo per il momento solo sulla carta (parlo di nuovi profili emergenti ma ancora non disciplinati).
In tutto questo intreccio di graduatorie e meccanismi contrattuali, ci si chiede: ma perchè dare, quando possibile, a qualcuno troppo lavoro e ad altri niente? Primo problema.
Secondo problema: la scuola non è un’azienda, non prioritariamente e non solo: non per nulla sono state conservate anche dopo l’ingresso del DSGA le due figure dirigenziali, il cosiddetto Dirigente scolastico, ex preside, ed il cosiddetto Direttore dei servizi generali amministrativi, il cosiddetto ex segretario, figura numero due del quadro direttivo.
Il primo si occupa di didattica, il secondo si occupa di bilancio; con l’Autonomia scolastica entrata a regime nell’anno 2000, la scuola è sì diventata una sorta di azienda che deve rendere conto di ogni sua entrata e di ogni sua uscita, nel senso che il controllo fiscale da parte dell’Ufficio scolastico è diventato di fatto la sola cosa funzionante e garantita, almeno nelle Regioni dove c’è produttività, dove c’è la cultura dell’impresa, dove c’è forza lavoro e dove c’è trasparenza e controllo.
Ma è ai dirigenti che io espressamente mi rivolgo; loro non sono contabili, con la contabilità devono sì confrontarsi ma non arrendersi; loro sono ex insegnanti che smettono di insegnare tra i banchi ma che continuano a farlo da un ufficio, apprestandosi a mettersi alla guida di un motore che ha come finalità prima la formazione dei propri alunni. Punto.
Sul territorio nazionale emerge una realtà a macchia di leopardo; territori di eccellenza contro territori, la scorsa citata realtà campana, di degrado e di oscurantismo generale.
La tendenza scaturita dall’autonomia è la divisione delle competenze; i comuni hanno competenze sulla scuola dell’infanzia e di primo grado, le province hanno competenza sulle scuole di secondo grado, la nazione ha competenza sulle direttive generali..
Da una logica di programmazione rigida e calata dall’alto si è passati, sempre con le riforme passate, quelle vere, ad una logica di programmazione differenziata, sperimentale, che ha dato forma a diversi indirizzi, alcuni molto molto validi, altri forse decisamente dispersivi e comunque dispendiosi sotto il profilo del tornaconto, della ricaduta spendibile nel mondo del lavoro.
E’ noto che il problema primo della scuola è il suo scollamento dal mondo del lavoro. Da qui si può comprendere l’urgenza del novello riordino degli istituti di ordine professionale sui quali la Regione reclama il suo legittimo interessamento.
Ammesso che alcune Regioni possano realmente fare da gestori di queste realtà (ma sono una stretta minoranza) vi sono tutte le altre regioni che non hanno gli strumenti e la cultura di questa forma di imprenditoria formativa. Cosa fare di queste situazioni? Si è tanto conclamata l’importanza del sapere fare accanto all’importanza del sapere, a patto che il saper fare non diventi solo il fare a conseguenza dell’annullamento del sapere.
All’incontro di venerdì primo ottobre, organizzato dalla Cisl Scuola con tutti gli attori sociali coinvolti del territorio ed intitolato Scuola e Lavoro in Brianza, ci sono tutti: l’assessore della neonata provincia, il rappresentante di Confindustria, la rappresentante delle pari opportunità della Regione, il segretario generale Cisl Monza e B., il seg. Generale Cisl Scuola, il direttore del neonato Ufficio Scolastico Provinciale di Monza, la dirigente scolastica di un circolo didattico d’eccellenza, la Confcommercio, il presidente dell’ANCI ed un rappresentante dell’ex Provveditorato di Milano, che però rimane in sala senza prendere parola, quasi ad essere venuto solo per potere fare da semplice referente.
Ognuno porta la sua analisi, concepita secondo il proprio taglio, la propria priorità; dal modo di relazionare emerge anche la personalità del relatore di turno; chi si pavoneggia con un eccesso di protagonismo quasi disgustoso; chi molto praticamente riporta dati sull’indice di disoccupazione e sulla disponibilità di posti lavoro che rimangono senza offerta, sull’evoluzione culturale che è passata dalla visita guidata allo stage lavorativo ed all’alternanza scuola lavoro.
Le logiche dominanti sono accorpamenti e razionalizzazione delle spese, mancano invece servizi sociali adeguati, servizi familiari che possano fare bene conciliare le esigenze della famiglia con le esigenze del lavoro; manca anche una cultura che veda il peso della gestione dei figli parimenti suddiviso tra i due genitori e non solo sempre solo sulla madre che viene di gran lunga penalizzata.
Si parla di progetti pilota che nascono in Lombardia per sperimentare il modello francese, molto attento alle esigenze della famiglia; si parla dell’importanza del lavorare in rete, nel senso del lavorare in squadra, dove tutti gli attori interessati vengono coinvolti e motivati a dare il meglio di sé. Qualcuno accenna al progetto vincente l’Isola che non c’è…e si parla della crescita zero della natalità italiana se non si conta la natalità che proviene dalle famiglie di derivanza straniera.
Quando parla la dirigente del quarto circolo didattico di Monza, la dottoressa Anna Cavenaghi, emerge tutta la reale conoscenza di chi la scuola la vive dalla base da oltre vent’anni; con il viso arrossato di chi non è avvezzo a sedersi ai tavoli illustri ma solo avvezzo a stare tra i banchi di una scuola, concitatamente parla di uno stato di trincea; da un lato elenca una serie di iniziative locali che hanno dato la possibilità di garantire alcuni servizi indispensabili, tutto come conseguenza dell’impegno di liberi professionisti che solo per coscienza professionale ed umana si prestano a garantirli, come l’assistenza al problema del disagio giovanile ed infantile, dell’integrazione razziale e del sostegno ( sono nate in questo clima le educazioni stradali, le ed. sessuali, le ed. alimentari e lo sportello di consulenza psicologica); dall’altro lato elenca le inefficienze del sistema scuola che si deve avvalere di un meccanismo di assunzione farraginoso e non efficace, dove il precario è precario a vita, e non si capisce il perché, visto che il servizio lo offre, e se lo offre vuol dire che serve…per non parlare della retrocessione al maestro unico e al tempo pieno dato solo per scelta della maggioranza locale, che detto così sembra una cosa legittima, ma significa retrocedere dalla qualità e nella capacità d’essere competitivi. La dirigente ci porta dato precisi: dell’intera popolazione scolastica il 35% è svantaggiata, il 25 è straniera, il 5 è disabile e solo il 35 è cosiddetta normale. Forse per chi non lavora in questo mondo tutto questo sarebbe motivo di resa e di inagibilità, ed invece la scuola ha imparato da tempo a convivere, quando la si lascia lavorare tranquilla, con i suoi mille problemi.
Per nulla togliere alle singole iniziative felici di qualche illuminato, la dottoressa accenna al progetto CREI ( Centro Risorse dell’Educazione Interculturale) voluto dal dott. Dutto, all’epoca direttore generale del Centro Scolastico Amministrativo di Milano, quindi denuncia un sistema inefficace; il sistema è inefficace perché l’autonomia è più solo sulla carta che nella concretezza dell’azione e perché esiste una classe dirigente scolastica non adeguatamente formata al sapere fare il bene della scuola e non il bene della propria immagine; il sistema è inefficace perché la categoria docente è stata denigrata, infangata, svilita, data in pasto all’opinione pubblica che invece, prima di essere coinvolta dovrebbe essere informata di tutto, e tutto tra l’indifferenza dei politici (e dei sindacati) che avrebbero dovuto fare un’ effettiva opposizione; il sistema è inefficace perché c’è lo scollamento tra categoria Ata e categoria docente, che invece dovrebbe lavorare comunque in simbiosi; l’ammutinamento del personale Ata potrebbe mettere in ginocchio qualunque seppur faraonico progetto educativo, e questo alcuni stessi docenti ancora faticano a capirlo. Come già detto, ormai tutto il lavoro che facevano una volta gli ex provveditorati è ricaduto sulle singole segreterie, dove lavora il personale specifico; da qui il bisogno di una specifica formazione allargata al personale medesimo, mentre invece si tagliano fondi e risorse e si continua a parlare sempre e soltanto di personale docente come se il personale Ata non esistesse e non fosse un anello protagonista del mondo dell’istruzione.
Anche l’intervento di Confindustria è illuminante; nello stile di chi è avvezzo a fare i conti, si dice che il problema primo è l’abisso presente tra il mondo della scuola fatto di pensiero, di continuità, di garanzie, di progetti medio lunghi, con il mondo del lavoro fatto di azione, di cambiamenti repentini, di rinnovamento continuo, di progetto a medio-corto termine, di flessibilità.
E poi ci sono i lavori che vanno sempre di moda come il ragioniere ( sempre il saper fare di conto che aiuta) e quelli che mancano ma ce ne sarebbe un grande bisogno, come i meccanici e gli esperti di tecnologia alternativa.
E poi c’è il rischio della dispersione scolastica che è anche dispersione economica.
E poi c’è l’incoerenza già sottolineata tra la riduzione degli organici e del piano offerta formativa (POF) con il bisogno di fare una nuova e più efficace programmazione, la sola capace di rispondere alle esigenze del territorio che non è per nulla uguale ovunque e con il suo bisogno di rimanere sempre all’avanguardia, perché se da noi non si fa ricerca ci sono gli altri che la faranno al nostro posto, a nostro discapito.
Solo sotto l’ottica dell’integrazione scuola-lavoro sono nati i progetti di orientamento, di sportello designer, di learning week e di sostegno all’imprenditoria adulta, ossia di chi non più giovane vuole cimentarsi in questa avventura ricevendo delle sovvenzioni.
Il mercato richiede per il 25% laureati, per un altro 25 persone senza specifica formazione, per un altro 40 persone diplomate e per il restante 10 liberi professionisti.
Sotto l’avvento delle nuove tecnologie per la prima volta sono i giovani che hanno da insegnare ai vecchi, ai loro maestri più attempati. Emergono nuove figure di esperti; si ribadisce ennesimamente la centralità della circolazione dei saperi e dello scambio delle competenze. Lavorare in squadra, soprattutto nel pubblico, significa vincere, ma purtroppo questa buona pratica non è ancora patrimonio della cultura lavorativa che i dirigenti non incoraggiano abbastanza.
Le cose da dire sono state talmente varie che le quattro ore di presentazione volano via.
Verso le tredici e trenta ci si alza per andare al buffet.
Solo una riflessione personale: noi siamo in Lombardia, e se le cose vanno malino qui, come stanno andando altrove, Napoli a parte?
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