Habemus Sòlam

Creato il 10 maggio 2011 da Ilgrandemarziano
Non sono un morettiano, di quelli convinti, non faccio parte dello zoccolo duro dei suoi fan, né ho messo le bandierine su tutta la sua filmografia, tant'è che - al cinema - di suo ricordo di aver visto solo (l'insopportabile) La stanza del figlio. Sono solo uno che ama il cinema, soprattutto se è di qualità, soprattutto se - oltre a intrattenere - si dimostra capace di dire qualcosa che vada al di là dei soliti cliché e mostri punti di vista e sensibilità inediti sulle persone e sul mondo. Dunque sono andato a vedere l'ultimo Moretti, ma non tanto nella predisposizione (e aspettativa) d'animo di assistere a un film di Moretti, con le dinamiche di Moretti, i dialoghi di Moretti, i silenzi di Moretti, le frecciate di Moretti e, complessivamente, il tono surreale di Moretti. Ci sono andato nella convinzione che il soggetto in questione (quello, insomma, del Papa che non se la sente di fare il Papa) fosse qualcosa di potenzialmente molto interessante, di estremamente coraggioso, di profondamente e disperatamente umano, al di là del ruolo che la Fede possa avere in tutto questo. L'unione di questo tema con la visione assolutamente atea e disincantata di Moretti e la sua tipica satira surreale, mi sono detto, devono costituire una miscela davvero imperdibile.
Invece no. Ho messo la testa fuori dal cinema con l'idea di aver assistito a un fulgido esemplare cinematografico di occasione sprecata. E il motivo è presto detto. Tutte le davvero eccezionali premesse si esauriscono in un ottimo inizio (quello sì, molto morettiano), fino alla scena della convocazione di Moretti in Vaticano e al suo primo incontro psicanalitico col Santo Padre. Fino a quel punto (ma sono davvero non più dei primi 10/15 minuti) il film promette moltissimo. Ma invece di proseguire su quella strada, lì la storia fa la fine di una balena su una spiaggia e si esaurisce, almeno nella misura in cui il ruolo istituzionale del personaggio di Moretti esce praticamente di scena (Moretti ovviamente resta in campo, ma in pratica il suo personaggio non serve più alla parte per cui era stato chiamato, ovvero lo psicologo che dovrebbe cercare di risolvere i problemi del Papa). La vicenda prosegue invece lungo tutta una serie di situazioni autoreferenziali, buone solo per contenere qualche battuta morettiana fine a se stessa (come la storia della moglie di Moretti - una Buy sprecata -, o la faccenda della guardia svizzera usata da simulacro, o tutta la faccenda del torneo di pallavolo), e che si limitano a fungere da traino a una trama che finisce per vivere dell'intensissima e mirabile interpretazione di Michel Piccoli, che - da solo - regge le sorti del film e contribuisce a far sì che lo spettatore esca dal cinema almeno con la sensazione di non sentirsi defraudato dei soldi del biglietto.
Moretti, dunque, a mio avviso, ha tagliato maluccio il suo diamante grezzo. A dispetto del fatto che si possa cedere alla facile lusinga di intravedere un intento del regista di parlare di Joseph Ratzinger e pertanto della sua eventuale inadeguatezza a ricoprire il ruolo papale (le immagini iniziali sono indiscutibilmente e palesemente tratte dalle esequie di Wojtyla, benché riferimenti alla realtà nel film non ne vengano mai dati), il modo con cui la sceneggiatura si sviluppa non porta davvero avanti i temi cardine della vicenda, né rispetto al ruolo della Fede o della sua contrapposizione con il non credente, né rispetto alla fragilità umana di un uomo che si ritrova sulle spalle un ruolo, che nessuno (dei cardinali) sembra volere, e che rispetto al quale sembra dover servire una dose di forza e di coraggio sovra-umana per poter essere (sop)portato. Non costruisce una visione, Moretti, non giunge a conclusioni, non suggerisce nemmeno riflessioni, a parte quella, che più banale non si può, della difficoltà di accettare un ruolo come quello di Papa. Ho quasi avuto l'impressione che Moretti, il quale non ha mai indugiato alla tentazione dell'autocensura, tutt'altro, in questo caso non sia stato capace (per mancanza di volontà o di coraggio?) di affondare il colpo, di graffiare, di andare a denudare le radici di quelle difficoltà profonde che sono anche quelle di tutti noi, sia di fronte alle prove più o meno grandi che la vita ci chiede di (sop)portare, sia rispetto al mistero dell'esistenza e dello scopo di essa, di cui la Chiesa tenta di somministrare (come ogni religione) una spiegazione preconfezionata, ma le cui contraddizioni morali e politiche in cui versa da sempre, contribuiscono a minarne la stimabilità.
Insomma, «Moretti, di' una cosa da ateo, di' una cosa anche non da ateo, da laico, Moretti di' una cosa, di' qualcosa, reagisci!»

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