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Sebbene sia difficile de-finire lo spazio cosmico alla luce delle nostre limitate capacità umane, è impresa ancora più ardua comprendere l’infinità di contenuti che “popolano” lo spazio della nostra coscienza. Makoto Yukimura con il suo manga Planetes, uscito in Giappone nel 2001 e in Italia due anni più tardi, propone una storia, in cui il contesto dello spazio cosmico diventa il pretesto per poter analizzare quello della coscienza. Ambientato nel 2075, Planetes racconta un futuro prossimo, in cui i viaggi nello spazio sono pienamente collaudati e alla portata di tutti. Il personaggio principale, Hachimaki, lavora per una ditta che si occupa del recupero dei rifiuti rilasciati nell’atmosfera terrestre dai satelliti in orbita. Questo lavoro molto utile, tuttavia, è vissuto da Hachimaki con molta frustrazione; il suo sogno è quello di essere scelto come astronauta per la prima missione sul pianete Giove. Tutta la sua volontà è così indirizzata in questo ambizioso progetto a scapito dei sentimenti e delle relazioni umane, che egli recepisce come ostacolo al raggiungimento di uno scopo. I pochi personaggi che prendono parte alla storia, non riescono a leggere la velata inquietudine di un ragazzo incapace di condividere uno spazio grande come quello cosmico. Non a caso le pagine, forse più significative, del manga sono dedicate alla cosiddetta sindrome dello smarrimento nello spazio, di cui è affetto Hachimaki all’inizio della storia. Questa sindrome consiste nella paura di andare alla deriva, con la consecutiva perdita di tutti quelli che sono i riferimenti cui l’uomo solitamente si rivolge.
Il titolo del manga esprime in modo efficace ciò che in esso viene trattato. Oltre la desinenza Es di Planetes di freudiana memoria, che sottolinea l’attenzione dell’autore per i problemi più intimi dell’uomo, anche l’etimologia del termine è rivelatrice del senso più profondo della storia; Planetes deriva del greco antico e significa “errante”. I pianeti cambiano la loro posizione rispetto alla propria stella, così come Hachimaki è lontano dall’immobilità che appartiene a una coscienza vissuta in modo arido. Manca solo quel punto rispetto al quale tutto si muove, la stella intorno a cui i pianeti orbitano. Quel punto va ricercato nella propria capacità di costruire un proprio spazio in cui la paura delle relazioni cede il posto a una apertura dettata dalla piena consapevolezza di sé.
Fonte: Il bazar di Mari
Elisabetta Rizzo