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Creato il 31 dicembre 2012 da Indian

Lezioni condivise 72 – La geografia linguistica

Reduce dalla visione di un thriller con più rumori e scricchiolii che parole, per dimenticare mi tuffo nei rassicuranti atlanti linguistici, densi di termini e ben oliati… a fondo…

La geografia linguistica – che come si può immaginare è ben diversa da quella politica ed è anche più democratica ed elastica, senza rigidi confini – attraverso gli atlanti fotografa la lingua nello spazio al tempo in cui avviene l’inchiesta, giacchè essi si formano in seguito a ricerche sul campo in punti prestabiliti e rappresentativi e consentono di definire in maniera visibile confini dialettali, parentele linguistiche e leggere a vista e confrontare il lessico, ma anche la fonetica o la morfologia di un territorio più o meno vasto, scoprire sostrati, adstrati e superstrati di una lingua.

I questionari, da somministrare ai testimoni oralmente, possono richiedere traduzioni dialettali di un concetto, di una nozione o di una frase, ad esempio, nomi di parentela, di battesimo, dialettali (riportati in grafia e fonetica), il nome degli abitanti di un luogo, dei fiumi, gruppi di parole.

La geografia linguistica rappresenta un’innovazione, ha smosso i linguisti dai tavolini e li fatti scendere nella realtà delle parole e delle cose, dunque rappresenta un’immersione nella cultura materiale di ogni territorio indagato, senza più distacco tra lingua e vita di ogni giorno.

Il linguista che prese atto di questa necessità fu Jules Gilliéron. Egli si avvide degli errori dei neogrammatici, mostrando che i mutamenti fonetici non sono sempre alla base dell’innovazione linguistica. Spesso sono invece dovuti all’etimologia popolare, che crede di riconoscere l’origine di un determinato vocabolo sulla base di assonanze o somiglianze.

Gilliéron fu l’artefice dell’Atlas linguistique de la France all’inizio del Novecento. Da allora si susseguirono diversi progetti, tra cui l’Atlante Italo – Svizzero (1928-40) di Karl Jaberg e Jakob Jud, ove esiste anche il volume dedicato alla Sardegna che ebbe per rilevatore Max Leopold Wagner.

Nel 1924 iniziò la tormentata vicenda dell’ Atlante linguistico italiano (ALI).

Si tratta di un’opera smisurata – pensate a cinque milioni di schede – che al tempo dei miei studi aveva appena iniziato le pubblicazioni e per quanto mi consta non le ha ancora concluse.

La pubblicazione è curata dall’Istituto omonimo che ha sede presso l’Università di Torino, ove Matteo Giulio Bartoli (docente di Gramsci) avviò il progetto, per volontà della Società di filologia friulana, intitolata a Graziadio Isaia Ascoli. Esecutore per eccellenza del progetto fu Ugo Pellis, anch’egli friulano. Nel dopoguerra l’opera fu continuata da Benvenuto Terracini, che ereditò la cattedra di glottologia del Bartoli. Le inchieste furono terminate nel 1965, ma deceduto questi nel 1968, i lavori per la pubblicazione si arenarono fino alla fine degli anni ottanta. Nel frattempo però Terracini nel 1964 riuscì a pubblicare il ‘Saggio di un atlante linguistico della Sardegna’ con Temistocle Franceschi, in due volumi e 59 carte.

Questo che allora fu un primato per la Sardegna, dovuto sia alla vicinanza fisica e di studio di Terracini con il sardo, dipese anche dall’essere isola, pertanto relativamente conservativa rispetto ad altre aree. Le inchieste sarde per la stessa ragione risalivano agli anni trenta del novecento e non furono pubblicate prima per mancanza di finanziamenti.

L’effettiva pubblicazione dell’ALI iniziò nel 1995 per il decisivo interessamento dell’Istituto Poligrafico e Zecca dello stato ed è così stritturato: volumi I e II sul corpo umano, III su indumenti e abbigliamento, il quarto e quinto volume trattano di casa e arredamento, il sesto di alimentazione, il VII della famiglia e le età dell’uomo, l’ottavo completa le età dell’uomo e il nono volume è dedicato alla società ed è in corso di redazione.

Il primo volume consta di tre carte preliminari che riguardano i ‘nomi ufficiali delle località esplorate’, i ‘nomi dialettali delle località esplorate e degli abitanti’, la ‘topografia delle risposte dialettali’.

Un progetto come l’ALI ha certamente dei limiti, rappresenta però una base che può essere approfondita su basi più specifiche e definite, con intervistatori più affini al territorio indagato e a profonda conoscenza dello stesso. Peraltro un Atlante linguistico dovrà sempre limitarsi a un campione lessicale significativo che ne permetta lo studio e non pretenda di essere universale.

Le inchieste a vasto raggio sono certo dispersive specie in un territorio linguisticamente già in partenza disomogeneo come quello dello stato italiano, certe domande sono applicabili ovunque? Oggi si punta su studi più mirati e circoscritti a territorio e a temi omogenei. Il pallino della prof era ad esempio un Atlante per i paesi rivieraschi del Mar Mediterraneo sulla pesca.

La Sardegna, che nel frattempo era rimasta indietro, ha conseguentemente avviato nel 2008 la realizzazione dell’Atlante Linguistico Multimediale della Sardegna, di fatto il primo atlante linguistico dell’isola, ma che potrà avvalersi delle nuove tecnologie e porsi in qualche modo all’avanguardia, si fa per dire, perchè nella linguistica pánta rhêi hos potamós.

(Linguistica sarda – 14.2.1997) MP

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