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Halloween Writing Contest - Tema: Maledetti Traslochi

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Halloween Writing Contest SvolgimentoHalloween Writing Contest - Tema: Maledetti TraslochiEra un ferragosto come tanti. Il giorno perfetto per traslocare. Nessun ficcanaso o seccatore in vista. Una donna sulla cinquantina dall’aspetto scialbo e anonimo attendeva l’arrivo dell’ascensore all’ultimo piano. Aveva ammassato un discreto numero di scatoloni contro la parete scalcinata. Mentre accatastava pacchi di libri e foto, ricontrollava attenta i post-it colorati. Parevano una teoria ondeggiante di lingue mute in attesa di emettere un verdetto. Entrando e uscendo dall’ascensore, ogni tanto la donna si scrutava allo specchio. Aveva lo sguardo vuoto e la testa curva e accartocciata come sotto un carapace millenario. I vicini dovevano essere tutti in ferie, ma ogni tanto si udiva il raspare sordo di qualche gatto che, sentendola passare, cercava di attrarre la sua attenzione. Prendendo fiato, si fermò a fissare il portoncino blindato del vicino di fronte e provò pena per la bestiola solitaria. Allungando il collo nel tentativo di appiattirsi, si ritrovò carponi a sbirciare sotto l’uscio, ma al di là della fessura non percepì che uno sciamare di ombre. Stette senza respirare per qualche minuto. All’improvviso avvertì una zaffata maleodorante provenire dalla fessura. Una gabbia invisibile di congetture si affollò nella sua mente del tutto ordinaria. Si alzò a fatica reggendosi alla maniglia di ottone. Il sudore del suo palmo molliccio, a contatto col metallo freddo e duro, parve saldarsi come in un sigillo di cera bollente. Il caldo torrido e soffocante del pianerottolo sempre più asfittico pareva l’anticamera di una camera oscura, forse un luogo di morte anonima e destinata alla cronaca nera. Cercò di scacciare l’afrore pesante che le intasava le narici. Frugò in tasca un piccolo ventilatore portatile e se lo cacciò sotto il naso. Allontanandosi dalla porta chiusa, le parve di udire un rantolo. Poi la solita apatia riprese possesso di lei. Ciabattando con pesante lentezza, riprese a scivolare dentro e fuori l’appartamento intessendo mille bave di pensieri obliqui e inafferrabili.Dalla balaustra stretta e poco illuminata, saliva un’ultima rampa di scale che portava in soffitta. Nonostante l’avesse già ispezionata minuziosamente nei giorni precedenti, sentì l’urgenza inesplicabile di dare un’ultima occhiata al sottotetto prima di lasciare il condominio. Mentre strisciava madida di sudore schiacciandosi contro le pareti sferiche, la donna avvertì un tonfo sordo e attutito, come di coperte o tappeti arrotolati e sbattuti a terra. Non ebbe il coraggio di aprire il chiavistello e tornò indietro.  Un silenzio carnivoro le ingoiò il cuore. Tornò sui suoi passi come stordita e ricominciò il suo andirivieni dall’appartamento all’ascensore, cercando di mettere a fuoco una sottile sensazione di pericolo che si era impossessata di lei. Possibile che. . . No, era certa che il condominio fosse deserto e anche l’impresa di pulizie aveva sospeso il servizio per ferie. Con le tempie che le pulsavano all’impazzata, entrava e usciva dalle stanze accertandosi che fosse tutto in ordine. Non le restava che spegnere i contatori. China con la torcia in mano armeggiava con la chiusura della leva del gas. Il gatto del vicino aveva preso a raspare più insistentemente e persino i canarini della Ratti si erano messi a strepitare sguaiatamente. Niente, la leva non girava. Era tentata di lasciarla aperta e fuggire, tanto la sensazione di disagio stava montando. Ripensava a quell’odore acre dall’appartamento e a quel rumore sordo in soffitta. Che stupida a inquietarsi per così poco. D’estate il cibo marcisce con facilità e di sicuro i vicini avevano dimenticato di buttare l’immondizia prima di andare in ferie  . . .  Quanto a quel tonfo sinistro in soffitta, di sicuro qualcosa di pesante era caduto a terra, chissà, magari era stato appoggiato male. 
Diede un’occhiata fuori per accertarsi che non fosse iniziato a piovere. Il meteo aveva annunciato uragani in zona. Notò che nel parcheggio c’era un’auto mai vista. Una Volvo piuttosto malridotta e infangata. Riprese ad armeggiare frenetica sulla leva tentando di ricordare se avesse mai visto prima quella macchina. Ormai abitava lì da dieci anni e conosceva vita morte e miracoli del vicinato. Click. La leva era si era chiusa alla fine. Tirò un sospiro di sollievo. Stava per uscire, quando si accorse di non avere con sé le chiavi del nuovo appartamento. Imprecando pensò che ora era costretta a risalire. Nonostante l’affanno, preferì prendere le scale. Ogni volta che un ascensore si apriva e lei era sola, aveva una sensazione di profonda paura e disagio. Forse era rimasta impressionata da qualche film visto da bambina. Non vedeva l’ora di uscire all’aria, di andarsene da quel luogo che ormai non aveva più nulla di familiare. Mentre transitava dal primo piano, sentì un rumore metallico. L’ascensore stava salendo. Doveva essere entrato qualcuno. Fece immediatamente dietro fronte e decise di scendere. Il portoncino di vetro si chiuse di colpo dietro di lei quasi falciandole la nuca. Fuori, l’aria era torva e piena di pioggia. Si affrettò verso l’automobile e caricò tutte le sue cose alla bell’e meglio. Prima di salire in auto, alzò lo sguardo e le parve di vedere un’ombra dietro il vetro crepato dell’abbaino.Decise di attendere in auto. Si accese una sigaretta e nel frattempo provò a chiamare un amico. Dava occupato. Fu un’attesa snervante. Chi poteva essere salito? D’un tratto, sentì tamburellare sui vetri. Si girò e vide un paio di poliziotti in divisa farle cenno di uscire. Si ritrovò muta e lenta, come dentro un piano sequenza alla David Lynch. Dilatata come in una digressione apparentemente priva di senso. Sentiva che qualcosa le stava irrimediabilmente sfuggendo. “Lei abita qui?” la interrogò uno dei due agenti. “Sì, sto traslocando.” “Può gentilmente indicarci il suo appartamento?”Accartocciando il mozzicone nel posacenere dell’auto, la donna si sentì sollevata per la presenza dei poliziotti: avrebbe potuto finalmente recuperare le chiavi della nuova abitazione. Mentre salivano in ascensore, i poliziotti spiegarono di aver ricevuto una segnalazione anonima. La donna sentì il loro sguardo inquisitore. Arrossendo, si schernì e disse che non aveva idea di chi potesse aver telefonato. . .  apparentemente il condominio era vuoto. Salirono fino all’ultimo piano e la donna li fece entrare.  “Non posso offrirvi nulla purtroppo. Ho imballato tutto.” Si scusò desolata. “ Non si preoccupi. Possiamo dare un’occhiata in giro?” Chiese uno dei due.- “Prego, fate pure.” Rispose lei mentre controllava ogni stanza per capire dove avesse potuto lasciare le chiavi.All’improvviso, le vide luccicare sotto per terra dietro l’uscio d’ingresso. Le raccolse e quando ne sentì il peso, vide che ne mancavano un paio. La copia che aveva fatto fare per sicurezza e che non aveva ancora lascato a nessuno. Cercò di ricordare se poteva averle messe da qualche parte per sicurezza. Intanto i due poliziotti erano saliti in soffitta. Li sentiva trascinare qualcosa di pesante. . . Rigirava le chiavi in mano sempre più tesa. Non vedeva l’ora di andarsene. Dopo pochi minuti, uno dei due poliziotti ricomparve e la guardò perplesso.  “Venga con me.” Le intimòLe fece strada e la portò nella parte del sottotetto più basso. Nella penombra sotto delle travi marce, intravide un fagotto arrotolato. - “Ma è assurdo. . . ” Commentò con un filo di voce.Sotto un fascio di luce viola che penetrava dal tetto spiovente, si notava a malapena un fantoccio impagliato riverso su un fianco, con uno squarcio all’altezza della tempia sinistra. - “L’aveva mai visto prima?” Le chiese un poliziotto.Non riusciva a rispondere. Aveva la lingua impastata e le gambe molli. A malapena riuscì a mormorare che no, non aveva mai visto quell’uomo. . . Ma riferì dei rumori sospetti avvertiti proprio qualche ora prima. Date le circostanze, fu costretta a seguire i poliziotti in caserma per stendere un verbale. Era molto tardi quando la rilasciarono. Era come sotto l’effetto di un narcotico. Montò in macchina e si mise in strada. Quello che lasciava era un mistero ineffabile e che voleva seppellire dietro sé. Ma nei meandri della memoria, qualcosa di sfuggente e obliquo la torturava. Qualcosa ch forse avrebbe dovuto ricordare.Dal centro alla periferia, procedeva incolonnata a passo di lumaca. Il bollettino meteo non lasciava sperare nulla di buono. Non vedeva l’ora di rintanarsi nel suo nuovo attico e dimenticare se stessa.Girando la chiave nella toppa, ebbe la sensazione che la serratura fosse troppo stretta. Rimase qualche minuto a tentare di aprire. Fuori infuriava un uragano da tregenda. Scoraggiata, si sedette un attimo sopra uno degli scatoloni che aveva scaricato. Dal lucernario, si accese un fascio di luce spettrale che sembrò durare un’eternità. Poi il buio. Stava pensando di dover chiamare un fabbro vista la situazione. Non ci voleva. All’improvviso si ricordò della chiave mancante. Proprio in quel preciso istante, la porta si aprì: “Ti aspettavo, baby.” Sussurrò una voce melliflua.Il mattino dopo la ritrovarono sgozzata nell’androne. Accanto al suo corpo sfigurato c’era un fantoccio impagliato con due bottoni neri al posto degli occhi e una coltellino infilzato nel petto.Bea Ary

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