Evasi dalla prigione-incubo di Lazareth, il gruppo di fuggitivi cerca prima un rifugio per nascondersi dalle ricerche, quindi, dopo scontri rocamboleschi, si mette a sua volta sulle tracce di Jed, l’ex complice di Helena “Hammer” Svensson. Loro mezzo di trasporto una nave gioiello della tecnica, rubata in una delle loro tappe, che hanno battezzato con il soprannome di Helena.
Nel secondo numero di Hammer è lo scenario ad attrarre l’attenzione, ed è alla sua caratterizzazione che si dedicano gli autori (Stefano Vietti ai testi e Giancarlo Olivares ai disegni), mentre le personalità dei protagonisti restano ancora allo stato di abbozzo senza particolari sfumature. Seppure abbiamo ancora incursioni nel cyberspazio, la storia ci trasporta attraverso il sistema solare, dalla fascia degli asteroidi alla Luna, quindi a Titano. Abbiamo ancora mecha, cyborg e panorami pesantemente urbanizzati, ma anche terraforming e nuove religioni. Dalla claustrofobia degli universi informatici, la visione si amplia e lo sguardo si alza alla ricerca di quel senso del meraviglioso che aveva segnato il passato della fantascienza.
Se quindi gli autori versano nella storia consistenti elementi di space opera, ad amalgamare il composto è una visione che, se non parodica, è certo giocosa e consapevole delle collocazioni storiche dei vari generi e temi fantascientifici impiegati. L’Enclave dell’Avvento Solare è un luogo comune, e gli autori lo trattano come tale, confidando in un lettore che veda e apprezzi il gioco.In questo senso, quindi, Hammer si sviluppa lungo le linee di tensione generate da due centri di forza: da una parte la consapevolezza che certi elementi narrativi sono ormai consumati (la vastità dello spazio fisico, intanto, ma ormai anche di quello virtuale) e sono quindi dati per scontati dai lettori; dall’altra la volontà di affascinare quegli stessi lettori, di creare cioè una storia che li catturi, ovvero crei quel senso di immersione su cui il narrare vive da sempre e di cui in fondo il cyberpunk metteva in scena un’allegoria evidente. Hammer si muove in un’orbita fra narrazione e metanarrazione, sulla quale agisce, come vincolo che limita i movimenti, la sensazione che forse anche quest’ultima si stia esaurendo come risorsa narrativa in sé e che con le storie si debba costruire un rapporto diverso da quello dominante dalla seconda metà degli anni 1980, segnato dalla messa in scena delle regole narrative.
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- Hammer #1 – Doppia fuga: l’inizio dell’avventura del “Gruppo Hammer”
- Intervista al Gruppo Hammer: giovani autori per la fantascienza a fumetti degli anni ’90