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“Hanno tutti ragione” di Paolo Sorrentino (Feltrinelli)
Paolo Sorrentino, regista e autore di, fra gli altri, Le conseguenze dell’amore e Il Divo (con Toni Servillo) passa alla letteratura con Hanno tutti ragione, il suo primo romanzo, nel quale racconta la storia di Tony Pagoda, un cantante melodico napoletano che torna a Napoli dopo molti anni passati in America. Tony ha un passato denso, pieno di ricordi legati agli amici, ai sentimenti e alle donne, tra cui Beatrice, l’unica che lui abbia davvero amato. Fin qui tutto bene, se non fosse per il fatto che Tony è un uomo arrabbiato, cinico e addirittura, talvolta, cattivo. La sua è, però, una “cattiveria intelligente”. Tony è infame ma buono, è meschino ma altruista, è vittima ma carnefice e vive il dualismo che tutti noi esseri umani siamo quotidianamente costretti ad affrontare. Tony sa affrontare la cattiveria in modo strano. Ci entra dentro, la smonta, la snatura, la prende a schiaffi e arriva qualche volta addirittura a elogiarla. Vive di musica, di sesso e di cocaina e non riesce a stare senza questi elementi che ormai sono entrati a pieno titolo nella sua vita e ne sono, anzi, parte importante. A volte Tony soffre per com’è, a volte invece ne è contento, soprattutto per la capacità di saper gestire tutto. Ha deciso di non combattere le pulsioni di avversione verso il prossimo, perché lui non sopporta nessuno. Tutto e tutti gli danno fastidio. Odia le città del centro Italia, specie quelle piccole e provinciali, che conosce bene perché ci va spesso in tour. Odia le persone sciatte dentro e fuori, quelle che se ne vanno in giro in tuta mostrando la loro trasandatezza interna ed esteriore. Solo per Napoli, la sua città, ha ancora qualche parola buona, finanche poetica: Solo la mia città ha ancora un minimo senso con quell’apertura alata a mare, sterminata. Ti dà la sensazione che se vuoi puoi fuggire. Poi non fuggi mai. Chi è nato a Napoli può capire quale significato si nasconde dietro queste parole, qual è il senso di asfissia e di libertà, oltre che di indipendenza profonda, che una città forte e violenta come Napoli può regalare. Sarà la cultura, sarà il modo di fare, sarà lo stile di vita. Legame e sovranità personale allo stesso tempo. Il passaggio che segue ci dà un‘idea dello stile infuocato del romanzo: Quanto cazzo è vero che ogni uomo ha il suo dolore. Tutti, anche l’ultimo merdoso foruncolo al crepuscolo di uomo ha il suo dolore e ci sarebbe materiale sufficiente per rispettarlo. Ti viene voglia di rispettarli tutti quanti gli uomini quando ti raccontano cose così. Ma poi non ci riesci, perché perlopiù, la cattiveria ti assale negli angoli sempre liberi, come l’aspirapolvere, come un tartaro strafatto di cocaina, la cattiveria ti rende agguati notturni al cuore, fa razzia di te, ti stupra e ti violenta e si porta via i soprammobili del tuo corpo lasciandoti con un altro po’ di vuoto, un po’ più in là il vuoto, questa volta, contaminato con i sensi di colpa.
Hanno tutti ragione è un libro ovviamente provocatorio, sconnesso nel ritmo e nell’esposizione del pensiero – non solo del protagonista – una satira prepotente e un po’ arrogante dei nostri tempi. Sorrentino affronta la narrativa con l’occhio visivo e fluido dello sguardo cinematografico. Nato nel 1970 a Napoli, Paolo Sorrentino, fin qui dedito al divertissement filmico, si butta a capofitto nella narrativa, realizzando (forse un po’ di getto) Hanno tutti ragione, un’opera complessa ed elegiaca, se non tarantiniana. Sorrentino con Tony Pagoda crea infatti un antieroe cattivo, piuttosto lontano dal modello degli antieroi teneri e sbruffoni. Pagoda è cattivo nell’anima ed è l’icona viziosa di una cultura deprimente e depressa ormai in inesorabile declino. Sorrentino, anche se in erba, come narratore non sembra male, ma non è del tutto chiaro se Hanno tutti ragione sia un bel libro, o almeno un buon libro. È di certo un’opera scorretta, un testo massimalista con la coscienza letteraria di un prodotto derivato dalla tradizione espressionista italiana. Paolo Sorrentino è un outsider e, come tutti gli outsider, ha un animo fascinoso che risplende anche nei numerosi difetti, come nel fatto di aver scritto un romanzo un po’ slabbrato che sta a metà tra una bozza di sceneggiatura e lo scritto di chi ha l’ansia di analizzare e giudicare la realtà sempre più complicata di oggi. Ci sono diversi punti poco chiari in questo romanzo, tecnici e non: l’imprigionamento (forse involontario) dentro schemi e archetipi culturali nonostante la voglia dichiarata di rimanerne fuori, un certo sfondo perbenista e la malinconia usati a sproposito, lo stile meticcio pasticciato in modo strano. È evidente che Sorrentino aveva principalmente voglia di raccontare dei personaggi (uno in particolare) definiti e ben delineati, di comunicare attraverso l’uso della parola e non ancora con le immagini. Insomma, di provare a esplorare nuove modalità espressive. Hanno tutti ragione è una storia contorta che snocciola la vita di questo cocainomane campano, cantante di night club e voltagabbana quando le cose non gli piacciono o gli convengono più. Tony Pagoda è anche questo: Tre conati di vomito e queste pallette piccoline di sudore freddo e giallognolo che mi accarezzano la fronte bassa, la mia fronte bassa, la fronte bassa di me, di Tony Pagoda, alias Tony P, con questi quarantaquattro anni carichi e feroci, che me li porto dietro e che non li conto, che se li conto, soffro assai. È un personaggio a tutto tondo, ben caratterizzato nella sua stronzaggine anche se, al di là dei giudizi, è pieno di umanità. Se a Sinatra la voce l'ha mandata il Signore, allora a me, più modestamente, l'ha mandata San Gennaro. Più arrogante di così. La sua pelle butterata e i suoi capelli tinti ben rappresentano l’arroganza e la boria senza limiti di questo Paese (ma non solo). Hanno tutti ragione è tratto dal film, sempre di Sorrentino, Un uomo in più, del 2001, diventato presto fenomeno di culto. Sufficientemente efficace, ma lontano dall’aver realizzato una critica e un’analisi completa, a Sorrentino va il merito di aver saputo utilizzare una lingua barocca infarcita di napoletanismi e localismi e di aver scritto un romanzo, nonostante l’assenza di costrutto pienamente letterario, gonfio di divagazioni e ricordi, un po’ grottesco, amaro, con qualche riflessione filosofica, ma sicuramente da leggere. Magari (viste le numerose delusioni e critiche) per poi poterlo disapprovare senza pietà. Gli scrittori hanno delle responsabilità. Chissà se Sorrentino se ne è reso conto, scrivendo Hanno tutti ragione, anche se è innegabile che le sue siano le sceneggiature più belle degli ultimi dieci anni. Per non parlare delle regie, rigorose e lineari, mai ampollose e iperboliche come questo libro. Ci sono casi in cui le commistioni funzionano, altri in cui non vanno. Per Hanno tutti ragione ci sarebbe ancora da discutere.
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