Hans Christian Andersen e le sue favole

Da Lory663
Hans Christian Andersen è l'autore delle famose fiabe ricche di colore e di fantastiche meraviglie. Egli amava il mondo dei bambini, perchè era lui stesso un "grande fanciullo" che sapeva come soltanto i bimbi, più degli adulti, possono comprendere l'amore per Dio e per tutto ciò che Dio ci ha dato. Perciò nei suoi scritti, esorta sempre ad amare il bene, il bello, il prossimo e combattere l'ingiustizia e l'iniquità.
Nato il 2 aprile 1805 nell'isola Fyn, ad Odense, cittadina alla foce del fiume omonimo, che ricorda il nordico dio pagano Odino, per molti anni visse con il padre, modesto ciabattino, che si piccava d'esser un letterato: questi durante il lavoro o alla sera leggeva scene delle commedie di Ludovico Holberg o narrava al ragazzo apologhi, racconti e novelle, prendendo lo spunto da vecchie favole e principalmente dalle "Mille e una notte" dalle quali un altro danese Adamo Oehkenschlage (1779-1850) trasse il dramma fiabesco "Aleddin".
Nel fanciullo si sviluppò precocemente il senso dell'irreale e del fantastico. La sua mente intelligente e vivace costruiva scenari meravigliosi dove agitavano folletti, nani, gnomi, bellissime fate dalle chiome bionde, maghi dalle barbe candide e fluenti, streghe, sirenette, animali parlanti, prodi cavalieri lanciati al galoppo tra le nubi o attraverso cupe abetaie in imprese di ardimento e di bontà.
 Da alcune vecchiette, ricoverate nell'"Ospizio dei poveri" della città, il ragazzo apprese altri racconti straordinari che lo incantavano, Così condusse una fanciullezza piuttosto svogliata e viziata in quanto non aveva alcuna attrazione per lo studio. In classe i condiscepoli lo beffeggiavano per le sue fantasticherie ed egli preferiva vivere con le creature dei suoi sogni inseguendo trame stupende nel mondo degli incantesimi e delle strane avventure. Per l'incuria della madre e le frequenti diserzioni del padre, che dimenticava i doveri familiari per bazzicare circoli di artisti coi quali poteva sfoggiare la sua erudizione raccogliticcia, il ragazzo crebbe senza frequentare studi regolari.
Un giorno, avendolo, l'insegnante percosso con la bacchetta, secondo le usanze del tempo, egli abbandonò definitivamente la scuola proseguendo per conto proprio le letture che maggiormente lo interessavano. Nel 1816 il padre morì e la madre, poco dopo, abbandonò il figlio per passare a seconde nozze con un altro ciabattino. Hans venne accolto amorevolmente nella casa della sorella d'un pastore, detto "il poeta", che, già amico del babbo,aveva avuto agio di apprezzare la natura sensibile e delicata del ragazzo.
Così Hans potè coltivare le sue ambizioni teatrali e le sue scorribande nel regno dell'incredibile. Fu in questo periodo che scrisse un primo lavoro, una tragedia. Ma le necessità quotidiane lo spinsero a cercare lavoro in una fabbrica, dove, però, com'era già successo a scuola, fu deriso dai compagni per le sue ingenue fantasiose narrazioni; preferì allora tornare ai suoi libri suggestivi voli spazianti nelle infinite lontananze della fantasia. Naturalmente tentò ancora il teatro con altri lavori che leggeva al suo protettore e in una cerchia riservata di amici.
Finalmente nel 1818 le speranze ed i sogni di Hans parvero raggiungere una soddisfacente risoluzione. Una compagnia di artisti del tatro reale di Copenaghen giunse nella cittadina per alcune rappresentazioni. Andersen tanto fece, ed insistette presso un amico incaricato della distribuzione dei biglietti che riuscì a farsi accogliere tra gli attori interpretando qualche particina ed ottenendo lodi e voti augurali. Ciò rinsaldò in lui l'ambizione ed il desiderio di riuscire ad ogni costo. Il 5 settembre 1819 partì per Copenaghen con una lettera di presentazione per una celebre ballerina: sperava di ottenere un definitivo successo ed il riconoscimento ufficiale delle sue capacità artistiche.
Invece della gloria incontrò una grande delusione: ovunque si vide accolto con sorrisi ironici e subito respinto. Che doveva fare? Ormai si trovava nella disperazione, senza soldi, senza alcuna via aperta per la realizzazione dei suoi ideali d'arte e di poesia. Ritornare ad Odense sarebbe stato un disastro. Era come cacciarsi dal fuoco nella brace, dalle umliazioni di Copenaghen alle derisioni dei suoi concittadini, dei coetanei che erano soliti schernirlo allorchè accennava appena alle sue favole. Una sera, mentre passeggiava lungo il molo, alzò lo sguardo al cielo dove brillavano miriadi di stelle e le fissò lungamente. Una di esse splendeva con maggiore intensità e pareva che gli facesse l'occhietto e lo invitasse ad avere maggior fede nel suo destino. La buona stella lo avrebbe protetto ed accompagnato nelle traversie della vita.......
Rimuginando nei suoi pensieri , scorse uno spiraglio di salvezza: improvvisamente si ricordò di un tal Siboni, un cantante lirico italiano presso il teatro reale. Senza frapporre indugi di sorta, Andersen si precipitò da lui esponendogli con tutta sincerità il suo bisogno assoluto di sistemarsi nella capitale, poichè alla città natia non intendeva assolutamente far ritorno. Il Simboni, in quel momento, stava pranzando con il poeta Baggesen, con il compositore Weyse e con altri artisti e letterati. Andersen recitò dinanzi a loro alcune scene di Holberg ed ottenne un meritato successo tanto che in seguito Weyse gli insegnò il canto e il poeta Federico Hoegh-Gurdberg gli diede lezioni di danese e di tedesco. Per interessamento del Simboni, che l'aveva preso sotto la sua protezione, completò gli studi preparatori e nel 1828 potè iscriversi all'Università. Ormai aveva trovato la giusta strada che doveva portarlo più tardi al successo. Sempre tramite il Simboni e alcuni suoi amici venne introdotto presso la famiglia reale; il re stesso, Federico VI, s'interessò assai della sua attività letteraria e teatrale e provvide perchè potesse effettuare alcuni viaggi d'istruzione, tra cui uno in Italia. Ciò permise ad Andersen di ammirare le principali bellezze del nostro Paese ed affinare la sua preparazione artistica.
Al ritorno pubblicò il romanzo "L'Improvvisatore" (1835), in cui più della trama e delle figure valgono le calde descrizione di paesaggi e monumenti d'Italia. Nel suo animo frattanto, era maturato il poeta. Egli si convinse d'esser più portato al racconto ed alla fiaba che al teatro, tuttavia, in quel periodo, compose due drammi che furono giudicati favorevolmente dalla critica, "La nuova camere per il neonato" e "Il mulatto".
Dal 1835 sino al 1872 scrisse le sue umane e meravigliose fiabe. La sua vera natura di poeta sbocciò come d'improvviso, viva, brillante, pura e limpida quale acqua di fonte e qui appunto, nelle sue fiabe, sta tutta la grandezza della sua opera. Egli è il poeta dell'ingenuità e parla ai suoi lettori come si parla ai fanciulli. Nella sua mente si anima l'inanimato, e le cose più incredibili sono narrate con la semplicità di un bambino, la sua fantasia si compiace di salti meravigliosi, eppure tutto appare reale e vero cosicchè si ride e si piange con lui. Le sue fiabe tengono un posto intermedio tra l'epigramma e l'inno. Egli disdegna di cercare gli effetti col romaticismo del passato.
Proprio nelle fiabe egli si riattacca immediatamente al presente; egli possiede il dono di dar corpo e vita anche alle più bizzarre invenzioni della fantasia. Gli elementi tradizionali popolareschi si intrecciano con nuovi spunti ed invenzioni e il fantastico acquista plasticità suggestiva e risalto grazie al realismo in una fusione così originale e artisticamente compiuta che da varie generazioni queste fiabe rinnovano in fanciulli e adulti di tutto il mondo il loro incanto.
Nel complesso della sua produzione è sempre presente uno sfondo profondamente didascalico e moraleggiante. Sempre viva è l'esortazione a vincere le forze del male con l'arma del bene, con l'agire bene, con il voler bene al prossimo. E' una continua esortazione a combattere l'ingiustiza e l'iniquità. Certamente nei suoi libri egli rifuse alquanto della sua anima che, dalla morte del padre sino all'incontro con Siboni, aveva duramente sofferto. Incompreso, solo, abbandonato, imparò a sue spese ciò che si deve intendere per sofferenza fisica e morale. Apprese anche a sopportare con rassegnazione, a comprendere gli umili ed i buoni, a perdonare i cattivi ed a volere, soprattutto, bene.
Fu un'esperienza tremenda, ma comunque importante tanto da influenzare tutta la sua attività susseguente di scrittore. Le sue fiabe, infatti, risentono d'un tale stato d'animo; riflettono le sofferenze del passato e sono, appunto, piene d'umanità, d'amore, di comprensione per i diseredati, gli umili, per chi soffre. Molte sono improntate a profondi sentimenti umanitari ed hanno frequenti richiami autobiografici come "La fiaba della mia vita" che pubblicò nel 1847.

Hans Christian Andersen...un mondo di fiabe 

Per i fanciulli scrisse 156 novelle. Il primo componimento poetico fu "Il bimbo morente", cui seguirono "Liriche", "Fantasia e schizzi" e "Album senza figure". Molti episodi della sua fanciullezza gli suggerirono spunti, argomenti e temi per le fiabe che nel loro insieme hanno tuttavia un aspetto molto vario; nella sua vasta opera ne troviamo di autobiografiche come "Il brutto anatroccolo",e, almeno in parte, "La regina delle nevi"; con evidenti riferimenti alle tradizioni popolari danesi e d'altri popoli, come "L'acciarino"; Il compagno di viaggio, Il baule volante, Il piccolo e il grosso Klaus, Cigni selvaggi. Leggiamo fiabe in cui l'ispirazione letteraria è più che mai evidente come Pollicina, o quelle in cui sono mirabilmente fuse la satira, l'ironia e l'umorismo come Le calosce della felicità, La goccia d'acqua, Il guardiano dei porci, I vestiti dell'imperatore, La principessa del pisello, L'intrepido soldatino di stagno. Non va trascurato un piccolo gruppo di novelle improntate ad una fortissima tragicità e tristezza, tra le quali ricordiamo La piccola fiammiferaia, Scarpette rosse, La storia di una mamma.

Infine altri componimenti dell'Andersen rispecchiano la vita del mondo animale e del mondo materiale o delle cose inanimate: L'usignolo, La chiocciola e la rosa, Il rospo, L'abete, L'ago, e Penna e calamaio.

Tuttavia Andersen supera se stesso nelle fiabe in cui la fantasia si abbandona ad un galoppo sbrigliato e gli permette di creare cose stupende ed affascinanti e trame fantastiche. In questo senso Sirenetta è forse la più bella.



Hans nel periodo migliore della sua gloria, potè vivere anni tranquilli, felici, ovunque stimato ed acclamato, che gli fecero dimenticare quelli duri e difficili della fanciullezza e della giovinezza. Le principali corti d'Europa gli offrirono ospitalità e sempre venne colmato di onori. Letterati insigni dell'epoca come Charles Dickens, Enrico Heine e Victor Hugo lo considerarono un illustre collega ed ebbero per lui parole di viva stima, di grande ammirazione e di sincera amicizia.

Si narra che un giorno, essendo egli ritornato ad Odense, una folla strabocchevole lo accolse trionfalmente, tra scroscianti battimani. Hans Christian Andersen si spense il 4 agosto 1875 nella villa dei signori Melchior, suoi amici intimi. Prima di morire pronunciò queste parole:"A Dio e agli uomini la mia riconoscenza e il mio amore".

Odense ha eretto in suo onore una statua che domina l'ingresso del giardino dei Cigni. In città tutti conoscono la casa dove nacque Andersen, meta di visitatori e di studiosi; ivi sono raccolti libri, fotografie e cimeli del grande scrittore.

Le novelle di Hans Christian Andersen

Leggiamone insieme qualcuna

 

La piccola fiammiferaia

L'acciarino


La sirenetta

Per i fanciulli scrisse 156 novelle. Il primo componimento poetico fu "Il bimbo morente", cui seguirono "Liriche", "Fantasia e schizzi" e "Album senza figure". Molti episodi della sua fanciullezza gli suggerirono spunti, argomenti e temi per le fiabe che nel loro insieme hanno tuttavia un aspetto molto vario; nella sua vasta opera ne troviamo di autobiografiche come "Il brutto anatroccolo",e, almeno in parte, "La regina delle nevi"; con evidenti riferimenti alle tradizioni popolari danesi e d'altri popoli, come "L'acciarino"; Il compagno di viaggio, Il baule volante, Il piccolo e il grosso Klaus, Cigni selvaggi. Leggiamo fiabe in cui l'ispirazione letteraria è più che mai evidente come Pollicina, o quelle in cui sono mirabilmente fuse la satira, l'ironia e l'umorismo come Le calosce della felicità, La goccia d'acqua, Il guardiano dei porci, I vestiti dell'imperatore, La principessa del pisello, L'intrepido soldatino di stagno. Non va trascurato un piccolo gruppo di novelle improntate ad una fortissima tragicità e tristezza, tra le quali ricordiamo La piccola fiammiferaia, Scarpette rosse, La storia di una mamma.



Infine altri componimenti dell'Andersen rispecchiano la vita del mondo animale e del mondo materiale o delle cose inanimate: L'usignolo, La chiocciola e la rosa, Il rospo, L'abete, L'ago, e Penna e calamaio.

Tuttavia Andersen supera se stesso nelle fiabe in cui la fantasia si abbandona ad un galoppo sbrigliato e gli permette di creare cose stupende ed affascinanti e trame fantastiche. In questo senso Sirenetta è forse la più bella.



Hans nel periodo migliore della sua gloria, potè vivere anni tranquilli, felici, ovunque stimato ed acclamato, che gli fecero dimenticare quelli duri e difficili della fanciullezza e della giovinezza. Le principali corti d'Europa gli offrirono ospitalità e sempre venne colmato di onori. Letterati insigni dell'epoca come Charles Dickens, Enrico Heine e Victor Hugo lo considerarono un illustre collega ed ebbero per lui parole di viva stima, di grande ammirazione e di sincera amicizia.

Si narra che un giorno, essendo egli ritornato ad Odense, una folla strabocchevole lo accolse trionfalmente, tra scroscianti battimani. Hans Christian Andersen si spense il 4 agosto 1875 nella villa dei signori Melchior, suoi amici intimi. Prima di morire pronunciò queste parole:"A Dio e agli uomini la mia riconoscenza e il mio amore".

Odense ha eretto in suo onore una statua che domina l'ingresso del giardino dei Cigni. In città tutti conoscono la casa dove nacque Andersen, meta di visitatori e di studiosi; ivi sono raccolti libri, fotografie e cimeli del grande scrittore.

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