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Proseguendo sulla strada giàtracciata da Sawako Decides, IshiiYūya, ormai più che una promessa del nuovo cinema giapponese, racconta, in Mitsuko Delivers, la storia di unagiovane donna che si muove nella realtà che la circonda (quella del nuovoGiappone, della crisi e della disoccupazione), seguendo semplicemente ilproprio istinto naif, fatto di ingenuità, altruismo e determinazione. Il suocandore un po’ ottuso ricorda, in chiave positiva e tutta al femminile, iprotagonisti dei primi film di Yamashita Nobuhiro (personaggi sorprendenti, mapurtroppo dimenticati nei lavori successivi del regista). Mitusko conduce condisinvoltura la sua gravidanza, giunta ormai al nono mese, senza preoccuparsitroppo del fatto che l’uomo (di colore) che l’ha messa incinta, l’abbia, poi,lasciata. Senza un soldo, ritorna nel piccolo complesso residenziale perindigenti in cui visse durante l’infanzia, quando i genitori erano staticostretti a trasferirvisi dopo il fallimento della loro sala di pachinko, causala crisi degli anni Novanta. Qui Mitusko ritrova tutti coloro che avevaconosciuto durante l’infanzia e si prodiga in mille modi per aiutarli: lavecchia tenutaria che ormai non può più lasciare il suo letto ed ha bisogno dicure, i due gestori del ristorante cinese che ha ormai perso tutti i clienti,il giovane Yōichi, di lei innamorato sin dall’infanzia e disposto ad aiutarla acrescere il suo bambino, e lo zio di questi, Jirō, infatuato della proprietariadi un caffé cui non osa dichiararsi. Il principio di vita cui la protagonistasi ispira, e che vorrebbe infondere anche a coloro che la circondano, èsemplice ed efficace: «Quando il ventoti soffia contro… fa un sonnellino». Nel complesso Mitusko Deliversè una commedia dai toni favolistici (non molto lontana dal recente Miracolo a Le Harvre, e al cinema diKaurismaki sono anche ispirati i dialoghi spesso limitati all’essenziale e conun fondo di surrealtà), in grado però di guardare alle contraddizioni socialidel Giappone contemporaneo e alle inevitabili conseguenze della crisi economicache ormai da tempo lo attanaglia (la perdita dei posti di lavoro e ilfallimento delle imprese si ripetono più volte nella pellicola). È solo con lasolidarietà, sembra voler dire il film, che ci si potrà difendere da questaterribile situazione. Ed è a questo proposito che il film rilegge a suo modo ilconcetto di Iki (sulle cui implicazioni estetiche e filosofiche rimando alsaggio di Kuki Shūzō, La Strutturadell'Iki, Adelphi, 1992), interpretandolo, secondo le parole dell’anzianatenutaria, come quel sentimento che nasce «dall’esser presi dal modo in cuiqualcuno vive la vita», un modo, aggiungo, segnato dall’altruismo e dallasolidarietà, ma anche dal vivere se stessi al di fuori dei codici dominanti edal grezzo materialismo economico, ancora dominante la società giapponese (echiaramente non solo quella). Come qualcuno nel film ha il coraggio di dire:«Non è rimasto niente di Iki nel Giappone di oggi». [Dario Tomasi]
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