Era stato un anno strano, quello. Avevo appena finito le medie, dopo quei terribili esami che molto mi avevano agitato (sciocco, ancora non immaginavo quelli della maturità!) e, per festeggiare, i miei genitori avevano deciso di andare in vacanza a Recanati, la città di Leopardi. Che a me le vacanze al mare non sono mai piaciute molto e quel grosso cumulo d'acqua salata, dopo l'iniziale meraviglia, mi ha sempre annoiato in fretta. Così gran parte delle vacanze le ho passate a leggere, quell'anno in compagnia di Terry Brooks e Michael Moorcock, quest'ultimo scoperto girovagando in una bancarella di libri usati e prendendo il suo Elric di Melniboné a pochi spicci. C'erano stati però anche molti giri turistici per la città, davvero interessanti e curiosi, e proprio in uno di questi avevo notato il poster delle terzo capitolo delle avventure del maghetto. Che quell'anno avevano bypassato le festività natalizie per cercare di fare il pieno degli incassi durante le vacanze estive. Il che era un po' strano, perché per me Harry Potter è sempre stato legato al Natale, in qualche verso, complice anche il fatto che i libri me li avevano regalati proprio durante quelle Feste. ma in fondo, chi se ne importava. Ogni occasione era buona per vedersi le avventure del quattrocchi. E ora che ci penso, non mi è più successo di andare al cinema in una città che non sia la mia (o una confinante), cosa che rende questo film ancora più magico.
Harry non può proprio fare ritorno a Hogwarts senza problemi. Quest'anno, oltre al fatto che ha incidentalmente reso fluttuante una zia ancora più dispotica dei Dursley, a preoccupare il mondo magico è la fuga dalla prigione di Azkaban del famigerato Sirious Black, un feroce assassino che, guarda caso, sembra molto interessato al nostro eroe. Ma perché? E poi è davvero così?
Se c'è una cosa che rende questa saga così strana è il fatto che i capitoli migliori, almeno a livello cinematografico, siano quelli di passaggio. Film in cui non succedono le cose più eclatanti, che hanno più che altro la funzione di presentare personaggi di contorno che poi andranno a dimostrarsi fondamentali per quelli che saranno i fatti futuri. Uno di questi è senza dubbio La Camera dei Segreti, tassello decisamente non fondamentalissimo per quella che sarà la mitologia di questo mondo, mentre l'altro è proprio Il prigioniero di Azkaban. Fra i libri del maghetto era quello che mi era piaciuto meno - e dato che gli altri li avevo amati, questo voleva dire che mi era piaciuto 'solamente' molto - mentre il film, inutile girarci intorno, lo trovo ancora oggi una vera e propria figata. Ma nel senso che è bellissimo, che è un vero e proprio manuale per tutti coloro che vogliono fare film di questo tipo. Ed è anche il film che segna il primo dei vari cambi di regia, perché a questo giro a sedersi dietro la macchina da presa è Alfonso Cuaròn, l'uomo che portò i piani sequenza di moda con I figli degli uomini e Gravity, ancora prima che ci pensasse quell'altro mangiatortillas di Iñarritu con Birdman. Il che mi riporta a ricordare una cosa fondamentale per il cinema che non mi stancherò mai di dire, ovvero di come la regia alla fine sia la cosa più importante. Più importante anche della scrittura. Solitamente quando cito questa mia teoria tiro sempre in ballo Pacific rim e Drive, ma la saga di Harry Potter è l'esempio perfetto di tutto ciò. Gli otto film che vedono il maghetto ricchione come protagonista sono stati scritti tutti in maniera molto approssimativa, e se i primi quattro possono essere definiti belli è perché ci sono stati tre registi che ne hanno saputo valorizzare i vari aspetti. Come sempre, è il modo in cui si racconta una cosa a renderlo interessante, non cosa si sta narrando. Lo stesso valeva anche per i libri della Rowling, perché di storie di ragazzini che scoprono nuovi mandi magici (Narnia vi dice nulla?) ne eravamo già saturi allora e ancora prima degli anni Novanta, quindi se l'ex squattrinata inglese ha saputo rendere memorabile una storia simile è per il modo in cui ha scritto i vari tomi e l'ampio respiro che ha saputo dare ai fatti mano a mano che si andava avanti. Doveva essersene accorta anche la produzione, mi sa, perché dà a Cuaròn carta bianca e il messicano ne approfitta per rendere totalmente suo un mondo già conosciuto, modificando radicalmente il design di molti elementi e spostando la dislocazione di molti ambienti geografici. E il reinventare un mondo già conosciuto, ironicamente, lo rende anche migliore, più accattivante. Questo perché Cuaròn, a differenza di Columbus, sembra avere una mente più grafica, in grado di creare elementi che prima erano classici e che qui diventano rappresentatici della saga. Senza contare che si avvale di una fotografia bellissima e un montaggio ben calibrato, offrendo anche dei movimenti di macchina che contribuiscono a rendere lo stile più moderno e memorabile - fantastici i vari cambi sequenza che fanno proprio 'immergere' nel film, a tratti. E la sceneggiatura però rimane sempre quella scritta da Kloves, uno script che tralascia molti elementi importanti del libro e che lascia in sospeso cose che avrebbero saputo essere molto interessanti già da sole (chi non si è letto le avventure cartacee non saprà mai del cervo bianco alla fine, così come mai Lupin è a conoscenza della Mappa del Malandrino), soppiantate dal magnifico stile di Cuaròn. Oltre a questo, che già non è poco, il regista imbastisce pure una storia di turbamenti giovanili, dopo quelli mostrati nel controverso Y tu mama tambien, cogliendo invero lo spirito che non stava tanto nel libro (basta pensare alla scena d'apertura, alla rabbia che può esprimere quella singola formula magica pronunciata di nascosto) quanto nel tema trattato: il passaggio dall'infanzia all'adolescenza. Il precedente film aveva trattato già il tema della crescita e del trovare un proprio posto nel mondo, qui invece si tratta di trovare una propria coerenza interiore, dilemma che passano tutti gli adolescenti del mondo. Proprio per questo i toni si fanno meno fiabeschi e la dimensione si fa molto più oscura e gotica, perché arriva la consapevolezza. la consapevolezza più assoluto che c'è del male nel mondo e che esso può racchiudere anche noi. Non a caso un altro dei temi portanti del film è proprio la paura, perfettamente raffigurata dalla figura dei Dissennatori, proprio perché il sentore di star cambiando, come ogni cambiamento, fa paura. E' nella natura di ogni uomo, mago o babbano che sia.
E a tutti quelli che si lamentano del lupo mannaro sfigato, replico facendo notare che renderlo più tamarro non avrebbe avuto senso e che così, con quel fare quasi malaticcio, si fa sentire cosa sia realmente la licantropia: un male fisico, oltre che spirituale.Voto: ★★★★