Il primo libro di Harry Potter me lo regalò mio padre undici anni fa; Harry Potter and the sorcerer's stone. Lo comprò negli Stati Uniti, incuriosito dalla fama e dalla popolarità che il volume si era già conquistato in America. Sulla copertina giallastra c'erano disegnati un unicorno al galoppo, un castello e un ragazzo dalla faccia stralunata e dagli occhiali ridicoli che stava a cavallo di una scopa. Lo aprii incerto. Ricordo che mi avventurai nella lettura con il mio spelacchiato inglese di tredicenne. Presto però dovetti arrendermi. Le mie incompetenze linguistiche mi portavano a delle traduzioni palesemente prive di senso; gatti con gli occhiali che leggevano indicazioni stradali, uomini dall'abbigliamento indicibile, oggetti che sembravano portare via la luce dai lampioni. E poi c'era quel termine muggles che non capivo e che non mi riusciva di trovare su nessun vocabolario. Chiusi il libro ed aspettai l'edizione in italiano che da lì a pochi mesi sarebbe stata pubblicata da Salani. Aspettai per capire come aveva fatto quel ragazzino così brutto ed insignificante stampato in copertina a conquistare l'America.
Oggi quel ragazzino è il personaggio letterario più famoso dell'ultimo decennio. I suoi libri hanno venduto quasi 500 milioni di copie e sono stati tradotti in oltre 65 lingue. I film tratti dalla saga hanno raggiunto 4,4 miliardi di euro di incassi. Migliaia di fan hanno atteso a Londra la prima dell'ultimo episodio (Harry Potter e i doni della morte Parte II, dal 13 Luglio anche nelle sale italiane). E la sua autrice ed ideatrice, J. K. Rowling, è diventata più ricca della stessa regina d'Inghilterra. Perché quel ragazzo apparentemente insignificante in realtà è un mago. Proprio così. Un mago.
«Che cosa sono io?» «Un mago chiaro? Anzi un mago coi fiocchi, direi, una volta che avrai studiato un pochetto». Ricordo che a questo punto della lettura di Harry Potter e la pietra filosofale dovetti fermarmi e rifiatare. Nel racconto c'era un gigante (Hagrid), seduto in una catapecchia costruita in mezzo al mare, che stava spiegando, con una lingua tutta sgrammaticata, ad un ragazzino inconsapevole che lui, proprio lui, era un mago. Ecco il momento della rivelazione tipico di ogni Bildungsroman che si rispetti. Ma io lì mi fermai per riflettere con il cuore che batteva. Perché quella non era una rivelazione tradizionale e quello non era affatto un comune Bildungsroman. Perché Harry scopre in quel momento di essere un mago. Mi fermai perché quell'attimo di rivelazione, in verità, era il momento del "fantastico", il momento dell'irruzione di un fatto inequivocabilmente inspiegabile che costringe lettore e personaggio a tirare il fiato.
Ed è dopo aver letto Todorov che si capisce bene quanto quel momento sia cruciale; si capisce come dietro quello stupore momentaneo sia nascosto in realtà un capitombolo vertiginoso. Un salto da montagna russa. Il salto del lettore che viene proiettato da un mondo ad un altro, per ritrovarsi stordito e spaesato. Il precipizio che improvvisamente trasforma quello che, fino a quel punto, era stato identificato come "strano" in "meraviglioso". È la scoperta che in un mondo che sembra il nostro, e che sembra possedere delle regole che sono le nostre, se ne nasconde un altro che ha invece delle regole proprie e che stravolge la nostra concezione delle cose. Ci sono un mondo reale ed uno irreale che mai si mescolano l'uno con l'altro, ma che però, allo stesso tempo, sono talmente legati l'uno all'altro da risultare indistinguibili. Il lettore scopre di appartenere ad entrambi. Si ritrova continuamente costretto a dismettere i suoi abiti babbani per godere di uno dei due mondi e poi dimenticarsi delle tendenze magiche per non soccombere nell'altro. È questa la più grande prodezza della saga; aver stravolto l'ordine. Come dice Francesco Merlo in un articolo uscito sul "Corriere della sera" se «è vero che già prima di Harry Potter, in volo su una scopa, ogni giorno milioni di bambini abbandonavano la terra e si infilavano nelle nuvole. Mai però la magia era stata usata per il viaggio di ritorno dalle nuvole alla terra».
La Rowling è stata capace di riprodurre ancora quell'attimo di benefica esitazione e di moltiplicarlo e riprodurlo, reinterpretandolo. Se il "fantastico" tradizionalmente era l'attimo di esitazione prima che lo "strano" o il "meraviglioso" si imponessero nella narrazione, in Harry Potter il "fantastico" sta proprio nel continuo ed incessante avvicendarsi dell'uno e dell'altro. Harry ha capito di essere un mago, eppure sembra comunque meravigliarsene ad ogni pagina. L'ordine stravolto e la riduzione delle distanze servono a risollevare la letteratura fantastica. Come già prevedeva Todorov, «alla stessa letteratura fantastica è stato inferto un colpo fatale; ma da questa morte, da questo suicidio è nata una letteratura nuova». Ed Harry Potter è nuovo. Non migliore né peggiore di quanto lo ha preceduto, né perfetto, né sublime. Semplicemente nuovo. Stefano Calabrese nell'ultimo capitolo di un suo saggio (Www.letteratura.global, ed. Einaudi) definisce il primo episodio della saga un global novel e lo inserisce tra i romanzi crossover, ossia «translocale e paragenerazionale, usufruibile ovunque e da tutte le classi di età». Sono i romanzi del nostro nuovo millennio, delle nostre nuove generazioni. I romanzi che probabilmente resisteranno alla fine del romanzo stesso.
Ma nel fare tutto questo la Rowling s'è concessa il più bel lusso per uno scrittore; quello di fermarsi a raccontare semplicemente una storia. La storia di un orfano divenuto famoso ancor prima di sapere cosa fosse la fama, la storia di una genuina ricerca di affetto e comprensione, la storia di una crescita morale ed intellettuale, la storia di un odio esasperato, la storia di una lotta, ridotta in termini quasi manichei, tra il bene ed il male e del sottile confine che c'è tra l'uno e l'altro. C'è tutto questo nella sua saga. E poi c'è il romanzo sentimentale, il thriller, persino l'horror per certi versi. Una storia che a tratti prende la forma della fiaba, con creature sempre affascinanti ed il cattivo talmente cattivo da non poterne neanche pronunciare il nome senza suscitare il soprassalto dei presenti, a tratti parla invece del mondo reale, descrivendo gli orrori dei totalitarismi e degli odi razziali, rappresentato la cecità dei governi e dei loro rappresentanti, la crudeltà cieca di chi brama il potere. La Rowling, se da un lato ci racconta di un mondo meraviglioso con appassionata disinvoltura, rendendo il magico quasi comune e quotidiano, dall'altro ci descrive il mondo reale con i suoi vizi, i suoi sprazzi di luce e le sue abissali lacune, ma senza mai prendersi troppo sul serio, senza mai snaturare il suo intento principale; quello di raccontare una storia.
È questo probabilmente il più grande punto di forza dell'intera saga. Quello di essere rimasta fedele a se stessa per tutto il tempo. Quello di essere rimasta essenzialmente racconto; coerente, originale, avvincente, coinvolgente, sincero. Appassionato ed appassionante. Ed un racconto alla fine non ha altro scopo che quello di essere raccontato. E letto e recepito. E poi ricordato per sempre.
Allora, mentre l'ultimo film è ancora nelle sale di tutto il mondo, non ci resta che accogliere l'osservazione di Curzio Maltese; «ancora un paio d'ore e poi decine di milioni di bambini di ogni età torneranno alla dura realtà di babbani». Mi raccomando, non sprecatele.
I libri della saga di Harry Potter sono 7, in Italia tutti pubblicati da Salani. Nell'ordine sono:
Harry Potter e la pietra filosofale; Harry Potter e la camera dei segreti; Harry potter e il prigioniero di Azkaban; Harry Potter e il calice di fuoco; Harry Potter e l'ordine della fenice; Harry Potter e il principe mezzosangue; Harry Potter e i doni della morte.
I primi due sono stati tradotti da Marina Astrologo, i restanti cinque da Beatrice Masini.
I film seguono lo stesso ordine dei libri e con gli stessi titoli. Tutti prodotti dalla Warner Bros.