A volte fa bene abbandonarsi al piacere di una sorpresa inaspettata: trovare venti euro nei jeans, l’Inter che vince, la tipa a cui sbavi dietro che ti scrive, gli Hate Eternal che fanno un bel disco. Eh già, avete letto bene, dopo due album scialbi e mal registrati quali erano Fury & Flames e il successivo Phoenix Among The Ashes, Erik Rutan ci riprova e rimette in moto la baracca riuscendo finalmente a tirare fuori dal cilindro qualcosa che sia non dico allo stesso livello dei fasti del passato, ma che almeno si meriti di recare in copertina il monicker Hate Eternal.
Infernus concettualmente riprende le coordinate dei due precedenti lavori, limando tuttavia quelli che erano i punti deboli di questi ultimi ovvero una generale confusione derivante da suoni tutt’altro che cristallini e una carenza di “ciccia” di fondo, qualcosa che spiccasse sopra il muro di blast beat e chitarroni. La produzione non è nemmeno in questo caso particolarmente eccelsa, il disco nella sua totalità richiede uno sforzo extra in termini di concentrazione in modo da essere assimilato, cosa che in ogni caso richiederà ben più di un paio di ascolti. Detto questo di idee vincenti ce ne sono a bizzeffe, partendo dall’opener Locust Swarm e passando per Pathogenic Apathy, quest’ultima con un riff centrale veramente ben congegnato. Ottima anche la title-track, che nei suoi oltre sei minuti disegna un arazzo di parti riflessive e ragionate alternandole a sfuriate più propriamente death metal. Ormai il disco è uscito da un paio di mesi, eppure mi ritrovo ad ascoltarlo ancora spesso e senza mai interromperlo a metà, una parentesi di caos e catarsi lunga quarantacinque piacevolissimi minuti.