Questo è il secondo Natale che posso festeggiare anche con voi. L’anno scorso di questo periodo si concludeva il #Blogmas, un’iniziativa spettacolare che ha coinvolto sette blogger me inclusa e che è stata la prima vera prova dopo il salto della barricata. Quest’anno non si è replicato, ma quel che vi auguro è sempre lo stesso: che sia un Natale sereno e che vi porti proprio quello che state aspettando, o, perlomeno, sappia lasciarvi col sorriso sulle labbra, vicino a chi più amate.
Vi lascio un teaser di una delle scene di Natale più belle che abbia mai letto.
Buon Natale, amici!
I corridoi dei piani superiori erano avvolti nella semioscurità, la luce dal basso saliva morbida sfumando sui pianerottoli più in alto; tra le rose bianche immobili sui tavolini e la luminosità notturna appena più chiara del buio tra le mura, i quadri erano sagome scure incorniciate di vaghi barlumi dorati, volti in ombra e barbagli di pelle chiara dove arrivava il chiarore sbiadito della luna.
Eloise stava contando le porte per individuare quella della sua stanza, senza dover chiamare un valletto con una lampada, quando ebbe l’impressione di un movimento nell’oscurità.
Si avvicinò mentre la luna catturava un bagliore d’oro nell’ombra del corridoio e le sue dita trovarono il tessuto raffinato di una giacca da sera. In quel momento due mani si posarono sui suoi fianchi.
L’oscurità della notte si confuse con quella dietro gli occhi chiusi, la carezza di capelli soffici le toccò il viso mentre le mani riconoscevano le braccia che la circondavano con forza. Nel silenzio vegliato dalle porte sbarrate ascoltò il proprio sospiro spegnersi in un bacio che le fece perdere per un istante il senso di ogni cosa, la festa al piano di sotto e la musica svanita di colpo dalla sua mente.
Lui separò di un soffio le labbra dalle sue e le sfiorò la fronte con la propria, poi cercò di nuovo il suo bacio.
La lasciò, dileguandosi all’improvviso, inghiottito dalla stessa oscurità da cui era emerso, senza fare rumore così come l’aveva sorpresa, ed Eloise rimase con una mano appoggiata a una porta e l’altra premuta sul petto alla base della gola, trattenendo il respiro e il senso di calore che aveva dentro.
L’interno della stanza era ordinata e accogliente, i cuscini sprimacciati e le lenzuola girate sulle coperte come se lei già abitasse in quella casa. Schermò l’unica candela accesa su un tavolino e la portò vicino al letto, ai piedi del quale era posato un certo numero di pacchetti.
Non sembravano nuovi acquisti, alcuni avevano un impercettibile velo di polvere e i nastri erano leggermente schiacciati, come se fossero rimasti conservati a lungo sul fondo di qualche armadio.
Aprì un pacchetto a caso e vi trovò una spilla d’argento col blasone della Societas di Medicina. Rimase a contemplarlo a lungo finché, colta da una strana frenesia, non aprì anche gli altri pacchi, le mani che tremavano, ansiosa di scoprire se la sua intuizione era stata corretta.
Qualche minuto dopo era inginocchiata sul tappeto, col dorso di una mano premuto sulla bocca e un mantello da matricola stretto al seno.
Un regalo per ogni anno di Università che aveva trascorso da sola, a cominciare da quello da matricola, in cui Axel l’aveva calpestata con una crudeltà che aveva spaccato la sua vita in due parti, prima e dopo di lui. Ogni anno le aveva comprato un regalo, consapevole che lei non avrebbe potuto riceverlo.
Un libro di antiche romanze di studenti, una catena d’oro a cui appendere il simbolo della Fraternitas, se mai avesse deciso di far parte di qualcuna; il blasone della Societas di Medicina dove in cuor suo aveva deciso di entrare quando era appena una matricola; una sciarpa bianca ornata di trine che solo una studentessa anziana poteva permettersi di indossare al posto di quella più semplice imposta dalla divisa. Tutti quei regali erano un racconto silenzioso di come lui l’avesse sempre seguita passo per passo, senza mai abbandonarla.
Aveva avuto la stessa impressione in passato ma, a quei tempi, ciò che Axel metteva in atto era una pura e semplice persecuzione: punizioni che l’obbligavano a restare in collegio oppure a svolgere i compiti che le aveva assegnato. Momenti talmente penosi che anche il solo ricordarli le strappava una fitta di dolore.
«Non capisco», disse, ascoltando la propria voce forte e nitida e centellinando le parole come se servissero a chiarire qualcosa. La spiegazione, qualunque fosse, le era preclusa, Axel lo aveva fatto capire chiaramente. Eppure, mentre lisciava con dita distratte i nastri sciolti che qualcuno aveva legato intorno a quelle scatole all’epoca in cui lei lo aveva odiato e in cui aveva creduto che lui la odiasse, pensò che forse la verità era semplice: le aveva detto di essersi separato da lei contro la sua volontà e, quale che fosse il motivo, forse era una cosa che poteva cominciare ad accettare. Tuttavia, era un pensiero fin troppo simile a quelle che erano state le sue misere speranze e le faceva male.
Uscì dalla stanza col mantello ripiegato sul braccio, dimenticando la porta socchiusa; solo quando fu raggiunta di nuovo dal suono del pianoforte e delle chiacchiere ai piani inferiori ricordò che la casa era piena di ospiti e che probabilmente avrebbe dovuto attendere ore prima di riuscire a passare un istante da sola con Axel.
Quando però, arrivata sull’ultimo pianerottolo, prima della rampa che scendeva verso i saloni, lo vide seduto sui gradini in alto, nell’ombra delle scale, pensò che dopotutto avrebbe dovuto prevederlo.
Era in abito da sera formale, nero con la camicia a piegoline e la cravatta candida fermata da una spilla, eppure il modo in cui si appoggiava ai gradini era disinvolto, del tutto incurante di avere la casa praticamente invasa di gente che aspettava la sua compagnia.
Le sorrise voltando sicuro la testa, anche se lei sapeva che il folto tappeto aveva attutito il rumore dei suoi passi, come se non avesse mai dubitato che il suo sorriso potesse trovare altri che lei.
«Stai per ricordarmi di quando ci nascondevamo in cima alle scale per guardare i ricevimenti perché eravamo troppo piccoli per partecipare?», gli domandò.
Axel rise e la luce creava aloni di miele sul suo viso, qualcosa che la spingeva a inginocchiarsi accanto a lui per poterla raccogliere con le dita.
«Sì, confesso che stavo per diventare così banale».
di Virginia De Winter
EDITORE: Fazi
ANNO: 2010
PAGINE: 682
La serie Black friars è così composta:
#0.5 L’ordine della chiave | #1 L’ordine della spada| #2 L’ordine della penna| #3 L’ordine della croce | #3.5 Le soglie del buio
Chi è Eloise Weiss? Perché il più antico vampiro della stirpe di Blackmore abbandona per lei l’eternità suscitando le ire di Axel Vandemberg, glaciale Princeps dello Studium e tormentato amore della giovane? La Vecchia Capitale si prepara alla Vigilia di Ognissanti e il coprifuoco è vicino perché il Presidio sta per aprire le sue porte. Il lento salmodiare delle orde di penitenti che si riversano per le vie, in cerca di anime da punire, è il segnale per gli abitanti di affrettarsi nelle proprie case, ma per Eloise Weiss è già troppo tardi. Scambiata per una vampira, cade vittima dell’irrazionalità di una fede che brucia ogni cosa al suo passaggio. In fin di vita esala una richiesta d’aiuto che giunge alle soglie della tomba dove Ashton Blackmore, un redivivo secolare, riposa protetto dalle ombre della Cattedrale di Black Friars. Il richiamo della ragazza è un sussurro che si trasforma in ordine, irrompe nella sua mente e lo riporta alla vita.