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Hawaii, chiuso per neve!

Creato il 02 febbraio 2015 da Ilnazionale @ilNazionale

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2 FEBBRAIO – Quando il mio compagno di viaggio mi ha annunciato che forse non saremmo riusciti a salire sulla cima del Mauna Kea a causa di una tempesta di neve, ho pensato che scherzasse. Non ha mollato un fiocco di neve sulle Dolomiti, figuriamoci alle Hawaii. E invece non scherzava: nei giorni precedenti al nostro arrivo aveva nevicato sulla cima più alta (4205 metri) dell’arcipelago sperduto in mezzo all’oceano Pacifico, a circa 4000 chilometri dalla terraferma. Le strade di accesso alla cima erano davvero state chiuse!

Pur essendo così lontane da tutto, alle Hawaii non ci si sente mai isolati: le strade sono ben asfaltate, i mega supermercati spuntano come funghi, le prime pagine dei quotidiani non parlano d’altro che della finale del Superbowl. Famiglie di americani spettacolosamente grassi strabordano dalle sedie dei fast food con aria condizionata a palla, con la coscienza serena perché hanno scelto la versione diet del bibitone ultrazuccherato. Americanizzate fino al midollo, le Hawaii preservano comunque una parte di cultura locale: è usanza comune salutare con aloha e ringraziare con mahalo (la h è aspirata), i tratti somatici degli hawaiani sono tipicamente polinesiani, e alcuni abitanti del luogo esibiscono fieramente un adesivo sul paraurti dell’auto che sentenzia “Hawaii is NOT America!”. Come se la caverebbero senza le abbondanti palate di soldi che ricevono dal governo degli Stati Uniti, è tutto da vedere.

Per fortuna le Hawaii non presentano solo il lato irritante degli USA, ma anche quello positivo: i numerosi parchi nazionali sono gestiti in modo impeccabile, i servizi funzionano bene, gli operatori turistici sono gentili ed efficienti. Abbiamo moltissimo da imparare da loro in tema di turismo!

Come potete ben immaginare, andare alle Hawaii costa uno sfracello di soldi. Sono 26 ore di volo (di solito con scalo a San Francisco o Los Angeles), e già l’arrivare lì è una bella botta al vostro conto in banca. Poi metteteci gli alloggi, se volete risparmiare potete stiparvi come sardine in qualche ostello da 30 dollari a notte, distruggendovi la schiena su materassi scassati (io l’ho fatto un paio di volte, ma ahimè non ho più l’età per certi sacrifici); oppure trattarvi meglio in miniappartamenti con angolo cottura (scelta consigliata perché vi permette di abbattere i costi mangiando a casa invece che al ristorante), e allora si parte dai 45 dollari in su. E poi il mangiare, mia croce e delizia: è praticamente impossibile fare una scelta salutare! Porzioni che sono il doppio delle nostre, bistecche enormi, tenere e succulente, servite con una valanga di patatine fritte, e poi fette da mezzo quintale di cheesecake o di torta al cioccolato. Il numero di calorie non voglio saperlo. Di sicuro con ogni pasto mi si tappava una coronaria, ma non riuscivo proprio a resistere. Tutto questo costa quanto un’insalatona, e quindi se prendo l’insalatona ho come la sensazione di pagare di più per avere di meno: questo è il meccanismo perverso, rendono economicamente svantaggioso il mangiare sano, e quindi eccomi qua, ingrassata come un tordo a giurare che da adesso mi rimetto in forma.

Se andate alle Hawaii pensando di fare una vacanza di mare potreste rimanere delusi: le spiagge non sono molte, essendo isole vulcaniche ci sono scogliere alte e rocciose, non c’è barriera corallina e il mare diventa subito profondo, con correnti fortissime. Durante la stagione invernale (“inverno” si fa per dire: temperature fra 20 e 25 gradi!) le spiagge pullulano di surfisti che approfittano delle onde che in questo periodo sono più alte. Fare surf a quanto pare è una cosa difficilissima, molte persone preferiscono invece nuotare facendosi trasportare dalle onde che si infrangono a riva, ma per esperienza personale vi devo avvertire che dovete preventivare di venire scaraventati sul bagnasciuga con una violenza inaspettata, atterrando di setto nasale sulla sabbia. Andare alle Hawaii in inverno è comunque assolutamente consigliato, non solo per lustrarvi gli occhi guardando i surfisti, ma anche perché in questo periodo c’è la migrazione delle balene (per lo più megattere, in inglese humpback whales): spesso si vedono compiere dei salti spettacolari, sollevando un’enorme colonna d’acqua visibile anche da riva.

La vera bellezza della Hawaii è la natura: il terreno vulcanico, il clima mite e le frequenti precipitazioni (pare che il luogo più piovoso del mondo sia il monte Waialeale, sull’isola di Kauai) hanno favorito la crescita di una vegetazione rigogliosa, che sembra voler inghiottire ogni cosa. Cascate altissime (è a Kauai la cascata che si vede nel film Jurassic Park), canyon, scogliere frastagliate come la Na Pali Coast creano un ambiente primordiale su cui vi aspettereste di veder volteggiare uno pterodattilo. Le isole più belle sono sicuramente Kauai e Big Island. A Kauai ci sono la già menzionata Na Pali Coast e lo spettacolare Waimea Canyon, profondo fino a 900 metri, che da soli valgono tutto il viaggio. Big Island, su cui non mi ero creata delle grandi aspettative, si è rivelata invece una bellissima sorpresa, con grandi spazi aperti su cui pascolano felici e ignare molte belle mucche destinate a diventare deliziose bistecche (scusate la nota prosaica). Su Big Island la natura vulcanica dell’arcipelago è più evidente che mai: il Mauna Loa, il più grande vulcano attivo del mondo, ha eruttato l’ultima volta nel 1984, e se ci andate dovete assolutamente provare a camminare sulla colata di lava solidificata che scende fino alla costa con un fronte largo parecchi chilometri, nero e lucido, si sente solo il rumore del vento e lo scricchiolio come di vetri infranti dei vostri passi in questo paesaggio surreale e desolato. Il Kilauea, invece, di notte offre un meraviglioso spettacolo, con una luce rossastra che esce dal cratere in mezzo a nuvole di fumo, facendo immaginare la porta dell’inferno. Assolutamente imperdibile la camminata all’interno della parte spenta del cratere, su una crosta di lava solidificata e attraverso un fitto bosco sulle pendici del vulcano.

E infine, il Mauna Kea. Erano anni che desideravo salire sulla cima e vedere gli osservatori astronomici, e finalmente ci sono riuscita. Si sale agevolmente in macchina fino a 2800 metri, dopo di che si trova il visitor center in cui un cartello sconsiglia vivamente di proseguire l’ascesa perché la strada non è asfaltata. Decidiamo di proseguire, e se proprio il fondo stradale diventerà impraticabile, faremo dietro front. A sorpresa, non solo la strada è praticabilissima, ma poi, dopo un tratto di sterrato, ritorna ad essere asfaltata! E quindi si arriva in cima, a 4205 metri di altitudine, in una giornata meravigliosamente limpida. Sotto, una distesa di nuvole si apre a tratti per lasciar vedere la costa e il mare. L’aria sottile e fredda ci toglie il respiro, il sole scotta e scioglie i residui di neve rimasti dalla bufera di un paio di settimane prima. Tutto intorno, altri piccoli crateri costellano un paesaggio brullo e nero. Le cupole bianche e argentate degli osservatori astronomici sembrano costruzioni aliene, e ruotano con un impercettibile “bzzz” per orientare i telescopi. Mi verrebbe voglia di andargli a suonare il campanello per chiedere di visitare l’osservatorio, ma mi sa che non è una buona idea. In tutto questo, siamo soli! Neanche l’ombra di un turista! Che meraviglia. C’è un sentiero che percorre il crinale della montagna per arrivare a un’altra cima, e con il respiro pesante per l’altitudine ci incamminiamo. Arrivati su, mille foto, tutti fieri dell’impresa, e poi la scoperta di un pacchettino dall’aria sospetta nascosto sotto un mucchio di sassi: e ci facciamo grandi sghignazzate fantasticando che gli astronomi abbiano la loro scorta segreta di cose losche da fumare lontano dagli occhi vigili dei ranger che ogni tanto passano di lì. E mentre siamo lì che ce la cantiamo e ce la suoniamo, vediamo un fuoristrada dei ranger che si ferma davanti alla nostra macchina, annota il numero di targa e poi si allontana. Ohi, ohi. Torniamo giù svelti e ci viene il dubbio, ma si poteva salire fin quassù? Non è un tantino strano che non ci siano altri turisti? Ma questo sentiero era aperto al pubblico? Strategia d’elezione: nel dubbio, facciamo gli gnorri. Non sapevamo, non avevamo capito, anzi non parliamo proprio l’inglese. Appena mettiamo piede sulla strada, ecco apparire magicamente il fuoristrada dei ranger, che evidentemente ci stavano tenendo d’occhio. Ci chiedono se abbiamo letto il cartello che dice che il sentiero è vietatissimo in quanto porta ad un luogo sacro per gli indigeni. Oh no!! Quale cartello?? Parla uno di noi: “ah…sorry noi no English”. Il ranger chiede se qualcuno di noi parla inglese: noi, fedeli alla consegna, facciamo la faccia da tonti con gli occhi sgranati e la bocca a forma di O, senonché un nostro amico tonto per davvero punta il dito verso di me e dice ai ranger: “Lei sì che parla inglese!”. Aaaahh! Orrore! Io: “NO NO IO ENGLISH NO!!” e gli tiro un calcio nello stinco. Mi sa che lui a scuola era quello che alzava la mano e diceva: “Prof, guardi che oggi deve interrogare”. Fortunatamente, i ranger si esasperano, provano a spiegarci che la prossima volta dobbiamo leggere i cartelli e infine se ne vanno. Mentre siamo intenti a infamare e punire a suon di cinghiate il nostro amico, ci accorgiamo del famoso cartello, che si trova esattamente all’inizio del sentiero, e che a caratteri cubitali avverte che per rispetto verso gli indigeni della tribù Pincopallo bisogna tenersi alla larga dal sacro cocuzzolo su cui dimora lo spirito della dea Vattelapesca. Come abbiamo fatto a non vederlo, io proprio non lo so. Ci autoassolviamo con la scusa che è tutta un’invenzione degli astronomi per tenere lontani i turisti dal loro nascondiglio di sostanze illegali, e ce ne torniamo giù.

Come nota di chiusura, giusto due parole su Honolulu: Honolulu anche no. È divertente per 10 minuti, massimo 15, dopodichè il suo traffico caotico e le orde di giapponesi invasati per lo shopping vi verranno in odio. La spiaggia di Waikiki (quella delle foto con i palazzoni giganti attaccati al mare) vale la pena di essere vista se non altro per darvi l’idea dello stereotipo di Honolulu, ma poi non vedrete l’ora di ritornare ai ritmi più rilassati delle altre isole.

Insomma, vale la pena di andare alle Hawaii? Io dico sì. Preparatevi a una spesa impegnativa, a un lungo viaggio, e ad almeno 3 chili di grasso in più, ma sarete ricompensati da una natura spettacolare e generosa, con tutte le comodità e l’efficienza che offre lo stile di vita americano. E ricordate: se arrivate in un posto senza turisti, sappiate che molto probabilmente c’è un cartello di divieto che voi avete ignorato…

Sarah Baldo

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