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Hazard (ハザード, Hazard). Regia: Sono Sion. Sceneggiatura:Sono Sion, Kumakiri Kazuyoshi. Fotografia: Hiro'oYanagida Montaggio:Shūichi Kakesu. Musica: Harada Tomohide. Interpreti e personaggi: OdagiriJō,Jai West, Fukami Motoki, Ikeuchi Hiroyuki, Hagiwara Sayako, Richard Brundage, Austin Basis , Carson Grant. Durata: 103’. Uscita nelle sale giapponesi: 11/11/2006 PIA: Commenti: 2,5/5 All'uscita delle sale: 45/100 Link: Mark Schilling (Japan Times) - Chris Magee (Toronto J-Film Pow-Wow) - John Berra (VCinema) - TomblandsPunteggio ★★★★
All’origine di Hazard c’è un fatto di cronaca, unomicidio avvenuto in un club sadomaso newyorkese che spinge Sono Sion adambientare a New York la sua storia. A riprese già iniziate, però, stravolge lasceneggiatura e il film diventa una sorta di diario di viaggio del protagonistaShinichi, che, per trovare se stesso, deve perdersi nel cuore ruvido diun’America mitizzata, violenta, ingiusta, razzista ma che vive un fermentoininterrotto e coinvolgente, tutt’altra cosa rispetto al Giappone “addormentatoma insofferente”, come dice più volte nel corso del film la voce di un bambinoche accompagna le varie tappe di questa avventura. Apatico e inquieto è, inrealtà, lo stesso Shin, immobile, anzi, privo di reazioni, isolato nel suouniverso, con lo sguardo distratto dalla realtà del mondo, almeno fino a quandorealizza che il suo futuro è a New York. Sono si concentra su di lui fin dalprimo momento, personaggio “marginale” nel senso prediletto dal registagiapponese, vale a dire di osservatore acuto e cercatore suo malgrado, che cedea noi i suoi occhi e veicola il nostro sguardo verso dettagli altrimentidestinati a perdersi. Il risultato è il punto di vista vibrante di una macchinada presa in continuo movimento e al tempo stesso complice, vicina e lontana,come il protagonista che cerca la giusta distanza tra sé e le cose che locircondano e la giusta vicinanza con le persone che incontra. I suoi gesti sonodomande lasciate a perdersi nell’aria, sognando di volare e di fuggire, primadi tutto da se stesso, da quel fratello gemello che dice di aver lasciato aTokyo “identico a me ma diverso, codardo e sempre spaventato dalla vita”.Nell’instancabile corsa di Shin, Lee e Takeda e nella ripetizione ritmata difughe e scorribande, si nasconde un ritratto attento dei tre protagonisti, dicui Sono si prende cura definendo ognuno nella precisione del suo carattere edei rispettivi desideri. Ecco perché la narrazione appare frammentaria: inquesta linea sottile che attraversa il film, le “interferenze” hanno lo scopoattivo di scavare nei pensieri e conoscere più a fondo i tre ragazzi. Per farlo,Sono agisce sul tempo, lo ferma in una sorta di sospensione continua: ralenti,flashback, immagini oniriche rappresentano il desiderio di spiazzare lacontinuità e seguire un altro modello di narrazione, basata sui personaggi enon sulle storie. A questo servono gli innumerevoli dettagli sul paesaggioumano e urbano che i tre vivono e attraversano. Le pozzanghere sulle strade,gli uomini seduti ai bordi dei marciapiedi, le buste di plastica che sventolanosugli alberi della periferia, gli edifici diroccati, e poi i dettagli suivolti, gli occhi, gli oggetti, certe parole sottolineate. Oppure le panoramichesulla città, descritta come a voler rendere omaggio ad un’immagine di New Yorkofferta da certo cinema indipendente americano degli anni Ottanta e Novanta,con le veloci trasformazioni, le vertigini, i silenzi improvvisi, la sgranaturadel video che sembra ruvidezza. Pare che Sono abbia girato Hazard senza chiedere le autorizzazionie i permessi necessari a filmare in esterni, su un set contraddistinto da moltedisavventure e problemi economici che si prolungarono negli anni, al punto cheil film, girato nel 2002, trovò finalmente la strada della distribuzione solonel 2005 e uscì nelle sale giapponesi alla fine del 2006. Questa condizione di “clandestinità” si riflette sulla forma, e l’usodella macchina a mano senza luci artificiali si rivela essere una sceltadecisiva per la riuscita di un film capace di costruire un senso di profondaintimità, nonostante la frenesia e la vita apparentemente tutta esteriorecondotta dai tre amici. I versi di Walt Witman urlati contro i grattacieliilluminati di New York, sono un’immagine perfetta per rappresentare tutto ilfilm, non solo perché in essa c’è la splendida tentazione poetica di ognistraniero di definire questa città nei successivi contrasti tra la periferia eil suo cuore, ma anche per l’idea di padronanza degli spazi che se ne ricava.Non c’è conflitto, ma la capacità di dominare un ambiente che dovrebbe essere loroostile. Avere New York a portata di mano e poterla guardare da lontano li fasentire parte vitale di un universo che hanno sempre sognato, ma al tempostesso li mette nella condizione di avere alle spalle lo spazio necessario allafuga. Come bambini in un enorme Luna Park (e c’è la musica a ricordarcelo conesatta puntualità), dove ci si diverte senza pensieri, ma dove si impara ariconoscere tristezze ed inquietudini.“Questi riescono solo a vedere unpenny come tale. Io invece, posso vedere questo penny come 100 dollari, come unmilione di dollari” dice Lee a Shin dopo che un vagabondo ha rifiutato il loropenny. Sarà proprio questa la più grande lezione che il giovane porterà con sétornando a casa. Quel penny invisibile è un piccolo oggetto capace di spingereil film oltre il suo stesso limite. Tutto il finale si compone come un’unicalunga sequenza in cui Shin ripercorre all’indietro la sua avventura newyorkese,ritrovando i luoghi e le persone che ha incontrato. Tutto si fa lentamente piùdistante, tutto sembra essere precipitato in un lontano passato. [Grazia Paganelli]
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