Nell’immaginario collettivo Heath Ledger è ormai il Joker dal trucco sbiadito e dalle cicatrici di dubbia provenienza, colui che non ha fiducia nell’uomo e nel suo futuro e che architetta un piano diabolico per convincere Bruce Wayne-Batman a mollare perché la sua Gotham non può essere più salvata e non ha più bisogno di eroi. Se a Ledger è stato affidato quel ruolo non è perché a Christopher Nolan sia venuta un’illuminazione, ma perché quel qualcosa di speciale era già evidente da tempo, prima ancora de I segreti di Brokeback Mountain. A ventotto anni non era né una promessa del cinema mondiale né un attore alle prime armi, ma una certezza, un punto di riferimento, uno dei pochi che avrebbe potuto togliere lo scettro a uno come Jack Nicholson e spodestarlo. Per la mia generazione, così come per quella precedente, il Joker di Jack Nicholson è sempre stata una figura leggendaria, quasi intoccabile, e forse difficilmente emulabile, ma Ledger ha saputo dare alle generazioni successive un altro personaggio epico e immortale, e, a quelli che erano cresciuti con il Batman di Tim Burton, il duro compito della scelta: chi è il migliore? Domanda alla quale difficilmente si può rispondere perché i due personaggi sono diametralmente differenti.
Parte dei complimenti vanno naturalmente anche a Nolan, ottimo sceneggiatore e accettabile regista, e alle sue indubbie capacità di scrittura, per aver creato un personaggio così sfaccettato, umano e crudele, disperato e divertente, suggestivo, magari un po’ carnevalesco, eppure estremamente contemporaneo, ma quanti avrebbero dato questo seguito alla sua scrittura? Un errore che si tende a commettere è quello di ricordare Ledger soltanto per i ruoli sostenuti in opere come Il cavaliere oscuro e I segreti di Brokeback Mountain, senza rendersi conto che la sua attività artistica nasconde numerosi fiori all’occhiello, come quel 10 cose che odio di te, istruttivo come solo le commedie romantiche sanno essere, con un Ledger neanche ventenne, o il suo Bob Dylan, quello di Io non sono qui. Ruoli forse dimenticati un po’ troppo presto, complice la morte prematura avvenuta a cavallo tra l’uscita de Il cavaliere oscuro e le riprese di Parnassus, sovrastati dalla leggenda di una performance che è passata alla storia e che forse ha creato anche un mito, oltre a regalargli un Oscar postumo.
Probabilmente il più bel film che Ledger abbia mai girato gli è stato regalato, poco prima della sua morte, da quel Terry Gilliam che ne era rimasto affascinato e folgorato e che lo ha voluto con lui per ben due lavori (magari sarebbero stati anche di più), prima ne I fratelli Grimm e l’incantevole strega, e poi nel bellissimo Parnassus. Un ruolo, quello di Tony Shepherd, gravato da numerose responsabilità e aspettative, non solo perché successivo a Il cavaliere oscuro, che collocò l’attore australiano nell’Olimpo di Hollywood, ma soprattutto perché la dipartita di Ledger avvenne proprio durante le riprese, per cui l’uscita del lungometraggio divenne un momento mediaticamente importante, forse anche a discapito del notevolissimo lavoro di Gilliam. Il tema chiave della pellicola era proprio l’inseguimento disperato dell’immortalità a qualunque costo, il non accettare il passare del tempo e il peso incombente della morte, aspetti che non hanno niente a che vedere con la prematura scomparsa di Ledger, anche se stuzzicano la nostra fantasia. Il pensare che la morte del ventottenne Heath Ledger sia avvenuta durante le riprese di un film che altro non è che un’estenuante corsa verso l’immortalità, è comunque un dato curioso.
Parafrasando uno dei suoi primi successi, possiamo provare a fare un gioco elencando le 10 cose che, nel corso di questi cinque anni, ci sono mancate, e che senza dubbio ci mancheranno in futuro: tutti i ruoli che non potrà mai più interpretare, la sua eccezionale capacità di cambiare pelle, l’adattamento cinematografico de La regina degli scacchi di Walter Tevis a cui stava lavorando, i suoi futuri film da regista (carriera che era partita nell’ambito dei video musicali), i discorsi di ringraziamento durante il ritiro di un qualunque premio (e sarebbero stati tanti), l’inconfondibile voce, l’ironia e la simpatia che lo contraddistinguevano, quel carisma che solo le grandi personalità possiedono, lo sguardo e quel sorriso che poteva appartenere solo a lui. Queste sono le prime dieci che mi vengono in mente, provate anche voi, magari, anzi sicuramente, ve ne verranno in mente altre, perché il vuoto che l’attore australiano ha lasciato nel cinema mondiale è davvero enorme. Il futuro sarebbe stato senza dubbio suo. Quindici anni di carriera per uno che ha solo ventotto anni sono davvero un dato importante, soprattutto se consideriamo che tra i suoi ruoli ci sono le magnifiche interpretazioni di Io non sono qui, I segreti di Brokeback Mountain, Il cavaliere oscuro o di Paradiso + Inferno, solo per citarne alcune. Quel che resta di Ledger è la sua filmografia, i racconti degli amici e di Michelle Williams, i suoi video da regista e Matilda, la figlia. Perché Matilda? Provate a cercare una foto e capirete il perché.