Nel mondo esistono più di 15.000 hedge fund, di cui circa 300 operativi in Italia.
Nel nostro Paese vengono adottate delle politiche molto restrittive nei confronti degli hedge fund. Per sottoscrivere questi fondi occorre essere “investitori qualificati”, cioè possedere requisiti di consapevolezza e di comprensione maggiori dei comuni risparmiatori, e questo per la complessità e l’alto rischio dell’investimento.
Anche la fiscalità è particolare. Infatti un fondo hedge di diritto italiano paga il 12,50% di tasse sulla plusvalenza, mentre ad uno di diritto estero viene applicata l’aliquota marginale della dichiarazione dei redditi, che può arrivare sopra il 40%. Non è chiaro il perchè di questa situazione, forse si tenta di favorire i fondi italiani tenendo lontani i gestori stranieri. Il paradosso sta nel fatto che gli hedge fund europei, in generale, vanno meglio, in termini di risultati, di quelli italiani.
Il versamento minimo necessario per investire è di 500mila euro. Vengono acquistate delle quote il cui valore viene calcolato una volta al mese. In caso di richiesta di rimborso, il tempo di attesa per
l’investitore è di almeno 60 giorni. Un periodo così lungo è dovuto al fatto che i sottoscrittori sono un numero ristretto (anche se nel 2008 è stato abolito il limite del numero massimo di sottoscrittori, che in precedenza era di 200) e di conseguenza i rimborsi possono danneggiare il fondo, per cui prima dovranno essere integrati con altri versamenti.
Il problema fondamentale degli hedge fund è che sono poco trasparenti. Sono infatti esentati dalla richiesta di quotazione in un mercato regolamentato ed anche dalle norme sulla pubblicità del rendiconto di gestione e della relazione semestrale. L’unico obbligo è quello della comunicazione, da parte della società di gestione, del valore delle quote solo ai sottoscrittori e con cadenza semestrale. Sempre a proposito di poca trasparenza, può succedere che in alcune società il calcolo della quota viene fatto dalla stessa società del fondo, e il dubbio è che non sempre il valore sia calcolato in modo obiettivo. Inoltre non si conosce neanche la composizione del portafoglio (pochi hedge fund informano i clienti sui titoli in cui hanno investito).
Le commissioni di gestione prevedono una percentuale sul patrimonio che va dall’1 al 3%. In più c’è una commissione di performance che può arrivare ad un massimo del 20% del rendimento. Un lato positivo però esiste ed è quello della cosiddetta clausola high water mark, che impedisce al gestore di un fondo hedge di prelevare commissioni di performance non prima che le perdite precedenti siano state recuperate.
In definitiva, considerati l’alto grado di rischio, la poca trasparenza e la complessità operativa, è consigliabile sottoscrivere hedge fund? Lo vedremo nel prossimo articolo.