La complessa teoria estetica di Martin Heidegger viene esplicata in maniera compiuta nel saggio L’origine dell’opera d’arte, concepito nel 1935, ma pubblicato nel 1950. Punto di partenza dell’indagine di Heidegger è capire l’essenza dell’arte; per farlo, bisogna ritornare all’origine dell’opera, in quanto nell’origine risiede l’essenza. L’arte è innanzitutto una cosa, ma differentemente dalle altre cose non è mezzo, non serve a qualcosa di pratico; l’arte è nel mezzo tra le cose-mezzo (il mondo) e l’essere (la terra). Il suo fine non è imitare le cose, ma disvelare la loro essenza: l’arte è la messa in opera della verità. La cosa che nel mondo viene riconosciuta per il suo valore d’uso, nell’opera d’arte disvela il mondo a cui appartiene, il suo essere-cosa, la sua cosalità. Nel mondo dominato dalla tecnica, l’opera d’arte non è più presa in considerazione per la sua capacità di disvelare l’essenza, ma esclusivamente per la sua bellezza estetica. Compito dell’artista e del filosofo è di rimettersi sulle tracce della verità (gli dei fuggiti) e di riportarla all’attenzione del mondo.
Per meglio sintetizzare la sua teoria, Heidegger prende ad esempio un soggetto più volte dipinto da Van Gogh, in particolare nella tela del 1886 Un paio di scarpe, conservata ad Amsterdam. Lavorando parecchio di fantasia, il filosofo tedesco considera il paio di scarpe (in realtà, due scarpe sinistre) come il mezzo che la contadina usa per il suo lavoro nei campi. Van Gogh estrae le scarpe dal loro mondo, nel quale esse hanno unicamente un valore d’uso, e le riporta nell’opera d’arte come testimoni di quel mondo: le scarpe da strumento divengono disvelatrici del mondo contadino, portatrici dell’essenza di quel mondo, della sua verità. Qualcosa di analogo avviene quando la contadina, nel giorno di festa, calza le scarpe buone e ripone quelle da lavoro: queste ultime, nella sospensione del loro valore d’uso, ne assumono uno di testimonianza del mondo a cui appartengono e la contadina viene rassicurata (fidatezza) della persistenza del suo mondo anche nella sospensione della festa. Con una differenza: le scarpe riposte rivelano il loro esser-mezzo, la loro usabilità; nella messa in opera delle scarpe nel quadro di Van Gogh si rivela la loro essenza.
L’originale teoria di Heidegger ha suscitato le critiche dello storico dell’arte Meyer Schapiro, esperto delle opere di Van Gogh, il quale, dopo aver sottolineato che le scarpe in questione, secondo le sue ricerche, appartenevano allo stesso pittore, ha rimproverato al filosofo tedesco di non aver tenuto in alcun conto della soggettività dell’artista. Nel saggio La verità in pittura del 1978, Jacques Derrida è ritornato sulla questione, rimproverando sia a Schapiro che ad Heidegger di aver soggettivizzato l’opera d’arte con le loro personali interpretazioni. Al di là delle forzature interpretative e dell’ossessione per i neologismi e per il gioco linguistico di Heidegger (sarcasticamente definiti sproloqui da Derrida), la teoria del filosofo tedesco coglie il disagio dell’opera d’arte nel mondo dominato dalla tecnica, in cui ogni cosa vale solo per la sua funzione e l’opera d’arte finisce per essere relegata a una funzione esclusivamente ornamentale. Ma Heidegger non si limita a cercare di arginare la deriva decorativa dell’arte; la sua estetica rompe con la tradizione che faceva dell’arte un mezzo allegorico e simbolico di rappresentazione del mondo, proponendo una prospettiva chiaroscurale che, partendo dal concetto greco di aleteia, sia capace di disvelare l’essenza in tutta la sua potenza evocativa.