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La denuncia dell’ipocrisia nelle “Opinioni di un clown” e nel “Tamburo di latta”
Heinrich Böll e Günter Grass, dopo aver vissuto in prima linea l’orrore della seconda guerra mondiale (cui presero parte come soldati semplici), avvertirono profondamente che la società sopravvissuta non era migliore di quella che aveva inneggiato al führer. Da qui il loro impegno politico, che li vide vicini al partito socialdemocratico tedesco (SPD), ma soprattutto un’idea di letteratura come strumento di lacerazione della meschinità; furono, infatti, sostenitori del movimento d’avanguardia noto come Gruppo 47, che aveva l’intento di rifondare la cultura e la coscienza tedesca dopo l’apocalisse bellica.
I due scrittori tedeschi hanno ricevuto il massimo riconoscimento letterario dall’Accademia Svedese, Böll nel 1972 e Grass nel 1999, quando erano già noti al pubblico internazionale per i due romanzi che avevano suscitato un acceso dibattito critico e su cui ci soffermeremo qui di seguito.
Opinioni di un clown di Heinrich Böll è stato pubblicato nel 1963 e narra in prima persona le vicissitudini di Hans Schnier, rampollo di una facoltosa famiglia borghese che rinuncia al suo status sociale per irriderne la vacua esibizione sentimentale e la superficialità dell’impegno civile: “sanno benissimo che anche un artista non coscienzioso ha sempre più coscienza di un impresario coscienzioso”. Le vesti del clown sono allora le più adatte a rivendicare la propria autonomia di pensiero; peccato però che nemmeno la sua adorata Maria comprenda l’autenticità del suo amore e la moralità del suo ateismo, fagocitata anche lei da quel cattolicesimo di cui Hans coglie tutte le incongruenze.
“È una cosa che ho notato spesso nei cattolici: difendono i loro tesori – i sacramenti, il Papa – come degli avari. […] Riescono a gloriarsi di tutto: delle cose in cui la loro Chiesa è forte, di quelle in cui è debole, e da chiunque ritengano appena mediocremente intelligente si aspettano che debba convertirsi.” (Heinrich Böll, Opinioni di un clown, Mondadori)
Già al suo esordio nel 1959, Günter Grass (di dieci anni più giovane di Böll) affronta queste problematiche, esasperando la componente grottesca del suo protagonista e senza eccessive concessioni all’esplicita riflessione metaletteraria. L’indimenticabile Oskar Matzerath è un mefistofelico emblema della turpe contingenza storica: arresta deliberatamente il suo sviluppo fisico all’età di tre anni e, con l’inseparabile tamburo e un grido dilaniante, urla agli adulti la loro follia che li conduce prima alla guerra e poi a quelle fobie e a quei morbi (individuali ed epocali) che non si esauriscono al termine del conflitto mondiale.Anche nel Tamburo di latta i cattolici sono tra i bersagli preferiti dell’invettiva; parlando di sua madre, ad esempio, Oskar sentenzia che “la relazione con Jan Bronski, la collana rubata, il dolce tormento di una vita di adultera la resero devota e avida di sacramenti”; quanto a coloro che lo andranno a trovare nel manicomio in cui sarà ricoverato, ecco quel che pensa: “vengono quelli che vogliono salvarmi, che ci trovano gusto ad amarmi, che in me vorrebbero apprezzarsi, stimarsi e imparare a conoscersi. Come sono ottusi, nervosi, maleducati”.La loro critica non voleva tuttavia essere puramente distruttiva, probabilmente Heinrich e Günter condividerebbero l’affermazione del giovane sovversivo: “a dispetto di ogni esperienza volevo la felicità, il mio scetticismo non neutralizzava il mio bisogno di felicità”, ma poco oltre precisa “la felicità esiste forse solo come surrogato” (Günter Grass, Il tamburo di latta, RCS Editori).
P.S. Binari 10 assocerà 1984 di Orwell e Fahrenheit 451 di Bradbury, dopo di che non so, iniziano a scarseggiare le idee… Se i lettori e i collaboratori di Sul Romanzo volessero darmi qualche suggerimento (come commento a questo post o per e-mail), impegni lavorativi permettendo, sarò ben lieto di accoglierlo!