Quando Cesare Strippoli, di professione macellaio e rapinatore, noto nell’ambiente come Cesarone Mezzamano, superò la porta restò a bocca aperta: tanto per iniziare, quel posto era enorme. Decine e decine di finestre inondavano il pavimento con la luce chiarissima di un pomeriggio estivo. Cesarone , abituato ai neon della stanzetta di tre metri per due che era stata la sua casa negli ultimi venticinque anni, si sentì mancare. Se non fosse che era già morto, sarebbe stato preoccupante. Difatti, non sapendo nulla di tutta quella storia e convinto di esser ancora dov’era fino a pochi minuti prima, portò una mano al petto. Ma tutto sembrava tranquillo, in quel settore almeno.
Tavoli ovunque, gente seduta con l’aria di avere davanti a sé tutto il tempo (e tutti i soldi) del mondo. Assomigliava sì al refettorio, ma la compagnia sembrava appena migliore. E aleggiava un profumo di polpette al sugo, il suo piatto preferito. Aglio, prezzemolo, pepe… Oltre alla bassa macelleria, Cesarone aveva un gran passione per la cucina, almeno fino all’incidente in cui aveva perso tre dita. Aveva nel contempo perso anche il suo socio, che sfortunatamente non era sopravvissuto alle coltellate; ma questa era roba passata. Invece con la cucina aveva dovuto chiudere per sempre: in cella non poteva tenere neanche i coltelli di plastica, “per sicurezza” dicevano.
Non avendo idea di cosa fare, restò a dondolarsi sui talloni; e proprio quando iniziava a pensare di tornare indietro, senza sapere bene come, un elegantone gli andò incontro con un inchino:
– L’aspettavamo, chef. Da questa parte, prego – indicando una porta a battente.
Cesarone si guardò alle spalle prima di capire che l’ossequioso cameriere ce l’aveva con lui, poi lo seguì in una cucina immensa e lucida, costellata di pentole di rame, getti di vapore e fiamme bluastre; lavapiatti, camerieri, sous-chef scattarono in fila per salutarlo e finalmente comprese: a fine pena gli spettava un lavoro! Quando infilò il grembiule candido, si sentì felice da scoppiare. Avrebbe preparato le migliori polp…
Un suono improvviso, sgradevole, insistente, e nella cucina scoppiò il putiferio: i camerieri svolazzarono qua e là come gabbiani impazziti, i fuochi si spensero di colpo insieme alle luci, poi tutto tacque.
– …
– No, amore, niente di particolare, stavo scrivendo una roba… ma che palle, mi sono impantanato. Ti secca se ci sentiamo dopo?
– …
– Ok, ti richiamo fra poco. Scusa, amore, eh.
Stampo il foglio, poco più di mille battute, lo scorro velocemente. Fa davvero schifo, lo appallottolo, gli do un calcio, mi chino sulla tastiera: ctrl-5. Non faccio in tempo a premere il tasto canc che qualcuno s’attacca al campanello con una certa urgenza. Eccheccazz…! un attimo di tregua!
Sulla porta mi squadra un tizio con una faccia, con una barba…è tutto vestito di bianco, pare un infermiere. L’ho già visto, sono sicuro, ma non ricordo dove.
– Buong…
– Sei lo scrittore, te?
Benché interdetto dall’approccio, mi sento anche un filino lusingato:
– Beh, sì, lo scrittore sarei io -sorrido modesto- lei invece …
Mi mette una manona sul petto e mi spinge in casa. Mi tremano le gambe quando vedo la porta chiusa, e mi rendo conto che è dentro anche lui con me.
– M’aspettavo un posto migliore da un artista, non ‘sto cesso. Veniamo al dunque, bello. Devi continuare.
– Ma…
– Senti: pure il socio mio mi voleva mollare, l’infamone, e ha fatto la fine che ha fatto. Pensa se mi faccio mettere i piedi in testa da un senzapalle come te. Mo’ ti metti e continui.
– Ma…scusi, aspetti un at…
– Muto! muto e scrivi!
Mi urla a denti stretti a due centimetri dal naso: è incazzato nero, e la cosa non mi piace per niente. Altra bella spinta verso la scrivania: la delicatezza non è il suo forte (sì, riesco a pensare cazzate anche in momenti come questi), ma quando raccoglie il foglio appallottolato, lo liscia con un gesto garbato. Cristo, ha la mano sinistra monca, se mi tocca vomito.
Quando va via, quasi muoio dal sollievo. E poi di nuovo il telefono, maledetto.
– Pronto!
– …