Hellfest 2014: sulla carta doveva essere una cosa epica e così è stato. Una programmazione talmente ricca che dover rinunciare causa sovrapposizioni a roba quale Unida, Conan, Spirit Caravan, Paradise Lost e Kylesa non risulta neanche troppo difficile. Un’abbondanza tale che rischia anche di confonderti: per dire, ho passato giorni a rompere il cazzo a mio fratello sulla necessità assoluta di vedere i Beaver solo per capire all’ultimo che sul palco stanno per salire i Dozer. E vabbè ho confuso gli split, può capitare. La qualità poi è talmente alta che anche show fantastici quali quelli di MOD, Kadavar, Acid King e Repulsion in mezzo a tutto il resto rischi pure di scordarli. Prestazioni mostruose come quelle di Monster Magnet o Turbonegro che rischiano di divenire meno memorabili solo per essere finite dopo roba quale Clutch o Black Sabbath. Sono giorni che attacco pippe allucinanti sul festival a chiunque becco per strada, se lo faccio anche con voi, vi prego di fermarmi, a parte togliervi il saluto sarà tutto a posto.
L’anno prossimo l’Hellfest festeggerà il decennale, non ho idea di cosa si dovranno inventare per fare di meglio.
Ora un po’ di appunti in ordine sparso.
Therapy? Quando gli organizzatori ti piazzano la band del cuore il pomeriggio del primo giorno è un segno che andrà tutto benissimo. Mi fa quasi strano rivederli su un palco grosso dopo tanto tempo, la scaletta è propriamente da festival pescando per la maggior parte dal bestseller del ‘93. Da persone squisite quali sono, omaggiano il pubblico metal con uno dei suoi inni per eccellenza: il riff urbano di Breaking The Law solleva la prima polvere e ci ricorda chi siamo e da dove veniamo. Lacrime e sudore mi gonfiano gli occhi ancora una volta.
La mamma. Più il concerto degli Iron Maiden va avanti più sento salire in me una sorta di tepore infantile. È il metallo che torna a casa, è l’arrivo delle vacanze di natale quando fai le elementari. Mi sento accolto e coccolato, Bruce Dickinson che intona Phantom Of The Opera (la canzone che permette di fare tutte le mosse metal esistenti) mi dona una sensazione indefinibile di benessere e sicurezza. Dopo la pausa dagli amplificatori parte il discorso di Churchill, sono di nuovo adolescente, in piedi sul letto della mia cameretta arringo la folla di Long Beach. La più dolce di tutte le madeleine. Conosco un tizio che si professa metallaro e non conosce gli Iron Maiden. È come dire che ti piace scopare ma non sai cos’è la fregna.
Il male assoluto. Gli Slayer in poco più di un’ora seppelliscono tutti i discorsi (sensati) sull’opportunità o meno di andare avanti. La faccenda con Lombardo se la potevano risparmiare ma già una volta li abbiamo perdonati e comunque non è che alla batteria ci sta uno che passava di là per caso. La realtà è molto amara: Jeff Hannemann è morto e purtroppo non ci possiamo fare proprio un cazzo. Questa però è la sua eredità. Holt è molto calato nella parte, prima era un sostituto, oggi dà l’impressione di fare parte degli Slayer. Aprono con Hell Awaits e a memoria mi pare che gli ultimi sei pezzi in sequenza siano stati: Seasons In the Abyss / Dead Skin Mask / Raining Blood / Black Magic / South Of Heaven / Angel Of Death. Oggi come ieri ti fanno la riga da una parte. Pace.
Fantascienza. Gli Electric Wizard stanno suonando Black Mass quando una giapponesina mi si avvicina e sorride, mi dà il cinque e mi fa segno col dito di seguirla. Obbedisco senza fiatare, mi porta sotto al palco. Mi sto facendo un mega film in testa, io sono già nella sua tenda, lei è una super geisha e tutto il resto. Parte Witchcult Today e la perdo nel fumo e nella calca, non la vedrò mai più. La leggenda che vuole l’impossibilità di scopare ad un concerto metal rimane intatta. E comunque non mi avrebbe interessato, perché scopare non è TRVE.
Alla fiera dell’Est. Il set degli Skyclad avrebbe tutti gli elementi per essere considerato un piccolo trionfo: ottima affluenza e un pubblico esagitato ed entusiasta. Il Conte Max che, oltre a essere profondo conoscitore della band, è una persona dall’intelletto raffinato non sembra dell’avviso e parla di qualcosa tipo euforia malsana. “Pare di stare alla sagra della castagna” mi dice. Mi sa che ancora una volta ha ragione, tutti questi violini, trenini e zompettii vari sembrano essere fuori luogo, un qualcosa che non ci appartiene. È lo sfogo dei bassi istinti paesani, come quando gli zozzoni con i dreadlocks vanno alla Notte della Taranta a Melpignano. C’è qualcosa che non va, infatti quando si vira sulle cose della prima ora, il popolino un po’ si acquieta. Su Cardboard City l’assenza di Martin Walkyer diventa ingombrante. Mah. Comu se zumpa, comu se balla, comu se mina lu pede alla palla.
LA prestazione. Quando si vedono così tante cose è naturale cercare di individuare il top e fare il giochino delle classifiche di eccellenza. Per quanto mi riguarda la prestazione migliore in assoluto è stata quella dei Clutch: chiunque vi abbia assistito potrà affermare che sia stata una di quelle cose che non capitano molto spesso. Penso sia stato dovuto alla somma di varie componenti: lo show cancellato all’ultimo minuto la scorsa edizione, il fatto che Earth Rocker nell’ultimo anno abbia guadagnato notevole considerazione tra gli appassionati e che ce lo siamo ritrovato un po’ ovunque nelle classifiche del 2013. Forse c’entra anche il fatto che il bill del sabato è un po’ più debole rispetto agli altri due giorni, non lo so perché. L’affluenza è altissima e credo non pronosticata, si percepisce un generico senso di eccitazione. Salgono sul palco e boom, dopo non oltre trenta secondi hanno già alzato il panico più assoluto. Da qui alla fine sarà tutto così, senza un secondo di tregua. Nel mosh pit rischio di perdere una scarpa, il conte Max teme qualcuno gli strappi il braccialetto, sopra la mia testa vola di tutto: birra, gente, un canotto gonfiabile e oggetti vari. Mi ritrovo intesta un cappello di paglia e una caraffa di plastica; ad un certo punto mi gira la testa e rischio di andare mezzo lungo, un tizio mi recupera e mi dà da bere. “Comment vas-tu?”, mi chiede, faccio cenno di sì con la testa, non ne sono troppo sicuro ma col cazzo che esco. Chiudono con The Wolf Man Kindly Requests e io ho bisogno di andare a comprarmi una maglietta nuova che quella che avevo addosso è inutilizzabile. Ne compro una con il logo dei Clutch ovviamente. Presumo se ne parlerà a lungo come una di quelle cose in cui c’eri o non c’eri. Mi vedo novantenne al bar sotto casa ad ammorbare qualche malcapitato, rimembrando con voce tremula: “Ahh i Clutch all’Hellfest duemilaquattordici…”. Tipo mai vista una cosa così.
Ciao Satana, guarda come mi diverto
Momento froceria. Una delle novità di quest’anno era la ruota panoramica. Tutti sono profondamente satanisti, tutti vogliono andarci. Siccome siamo gente che ha studiato, abbiamo tutti la stessa brillante idea: andarci mentre suonano gli Aerosmith di cui tanto non frega quasi nulla a nessuno. Il risultato è che la fila per salirci è tipo quelle per prendere il pane nella Russia Sovietica. Archiviato il brillante divertimento ci si divide per andare a vedere qualcosa, c’è chi opta per Phil Anselmo, chi per un gruppo black. Io comunico a Traispotting la mia scelta di restare a vedere gli Aerosmith, lui mi guarda con espressione scioccata e mi fa” Ti vai a vedere questi?” – “Ehm, cioè… Sì, ma solo per un po’ eh”, mi affretto a dire con tono apologetico. Probabilmente sono anche arrossito. Alla fine però a me piacciono abbastanza, dirò di più, preferisco quelli MTV a quelli anni ’70, in autoradio il sabato sera prima di uscire sono perfetti (questo per voi che siete giovani e vi divertite, io il sabato vado a letto presto). Certo, da un certo punto in poi hanno fatto solo delle cacate di ballad e quelle non le sopporto proprio, più sul cazzo di tutti mi sta la canzone di Armageddon. Fatto sta che dopo aver girovagato per trovare un posto decente ci fermiamo e manco a farlo apposta parte il piano di I Don’t Want To Miss A Thing. Decido di farmela prendere bene e mi unisco al coro strappalacrime. Almeno, però, quello che viene dopo è molto meglio, classici vecchi e nuovi assortiti, una bella cover di Come Together. Mega professionisti. Steven Tyler non si può guardare, sembra una baldracca imbottita di botox e oggi sfoggia anche un paio di improbabili baffi alla Charles Bronson che lo rendono simile all’osceno Piero Pelù delle ultime apparizioni televisive. Ributtante. Alla fine però mi son piaciuti anche loro, una ricchionata all’anno te la devi concedere.
Riti d’iniziazione. Al terzo giorno di festival mi sento un leone, sento scorrere in me il potere del vero metal, nulla mi è precluso. Decido che è il momento di sottopormi alla prova ultima, quella che mi renderà finalmente un vero uomo: cacare in un cesso chimico a uno di questi festival. Apro la porta, entro dentro, faranno circa trecento gradi e l’odore è disgustoso. Mi abbasso i pantaloni ma non mi scappa. Insisto un po’ ma niente da fare. Ci ho provato e ho fallito, quanti di voi possono dire di aver fatto altrettanto?
Delusioni. A parte gli Electric Wizard che ogni volta mi sembrano un po’ peggio, l’unica vera grossa delusione del weekend me l’hanno data i Soundgarden. La band di Seattle è centrale nella mia vita di ascoltatore, probabilmente la prima band che mi sono scelto da solo e non ho ereditato da mio fratello. Gli unici dell’epopea grunge che non ho mai visto dal vivo e pure i miei preferiti. Anche all’epoca non mi pare avessero la fama di essere delle macchine da guerra e a vederli oggi forse comprendo perché Matt Cameron abbia preferito fare il tour con i Pearl Jam. La questione per me va oltre l’ovvio Chris Cornell ha perso la voce: mi pare gli manchi qualcosa nel sound generale che mi sembra un po’ troppo confuso e privo di pompa. Secondo me dovrebbero prendere un secondo chitarrista per i live, li renderebbe più precisi e massicci. Sul finale del set mi sembra siano in ripresa, bella Fell On Black Days e ottima Beyond The Wheel. Peccato sia troppo tardi, vabbè.
Black Sabbath. I rischi di queste reunion con i vecchi non sono mai pochi, soprattutto se sei cresciuto guardando i video del California Jam del ‘74. Oggi non possono essere più la stessa cosa, ovvio, ma questi a settant’anni danno ancora le piste a tutti. Ozzy si scorda le parole e quello che vi pare, però quando fanno Black Sabbath riesce ancora ad essere spettrale. Geezer Butler è troppo un fico. E poi c’è Tony Iommi. Un gigante. L’ammirazione che provo per quest’uomo va oltre la ragione. Per tutto il concerto non riesco a togliergli gli occhi di dosso, lo voglio scrutare, capire. Perché uno così non lo faranno mai più, è un entità soprannaturale, secondo me manco esiste, è tipo un supereroe. Quando parte l’assolo di Snowblind perdo completamente il controllo, dall’esterno deve sembrare una cosa da neurodeliri, a me sembra l’unica reazione possibile, l’unica sensata quando ascolti questa roba. Tony, come te nessuno mai. Mai, ma veramente mai. L’ho detto e lo ripeto, i Black Sabbath sono la cosa migliore mai prodotta nella storia dell’umanità. Per sempre.
Per concludere mi sembra giusto riportare quello che mi ha scritto Ciccio per sms (lui non ha uno smartphone e non sa cosa sia whatsapp) “L’Hellfest è la cosa più divertente che ho fatto da vestito”, ecco, mi sa che l’anno prossimo tocca andarci nudi. (Stefano Greco)