Slow medicine: di cosa si tratta?
Slow medicine è un’Associazione culturale senza fini di lucro che si propone di “sviluppare e diffondere la cultura di una sanità sobria, rispettosa e giusta”, secondo quanto affermato nel suo Statuto.
A primo acchitto potrebbe risultare bizzarro l’accostamento di aggettivi richiamanti la sobrietà e il rispetto all’ambito sanitario, infatti quale frivolezza potrebbe mai avere la lotta giornaliera con malattie talvolta inguaribili?
Meno strano è il richiamo di Slow medicine all’equità, dato che la salute è considerata un diritto fondamentale, garantito dall’articolo 32 della nostra Costituzione, ma spesso non correttamente tutelato a causa della mancanza di strutture adeguate, delle interminabili liste d’attesa e dell’inefficienza burocratica che attanaglia, tra le altre, anche la struttura sanitaria italiana.
Eppure sobrietà e rispetto sono due temi di centralità assoluta quando si parla di sanità in un contesto sociale che esige la perfezione fisica, rifugge la debolezza ed emargina la diversità.
“Fare di più non vuol dire fare di meglio”
La sobrietà promossa da Slow medicine è legata allo slogan “fare di più non vuol dire fare meglio”, e intende denunciare il ricorso ad analisi cliniche, visite mediche e (auto)somministrazione di medicinali senza reale necessità di queste prestazioni. L’ipocondria che affligge sempre più persone in buona salute e nel pieno delle forze dovrebbe essere vista come un sintomo di malessere “altro” e quindi curato con metodi che non sono clinici e non sono ascrivibili al ricorso ad una ricetta preconfezionata o ad un farmaco.
“Hello, my name is Slow medicine”
Il rispetto ha a che fare invece con il trattamento del paziente. Ecco, per l’appunto, dov’è il problema: nel fatto che la persona sia considerata troppo spesso da medici e operatori sanitari come un individuo identificabile con la propria malattia. Un sistema sanitario asettico è necessario solo per quanto riguarda sale e strumenti, è controproducente se ad essere asettico diventa il sistema delle relazioni umane. Proprio su questo tema il medico inglese Kate Granger ha lanciato la campagna “hellomynameis” per incentivare chi lavora negli ospedali a presentarsi ai propri pazienti, ricordandosi che un dialogo personale di pochi minuti dona un beneficio nettamente superiore a qualsiasi medicina sintetica. Iniziativa abbracciata anche dai medici soci di Slow medicine, che promettono di promuoverla con le loro foto sul web seguite dal motto “buongiorno, io sono”.
Il trittico di Slow medicine è lodevole e spinge alla riflessione sul tema della sanità, ma ancor più su quello della necessaria interazione umana in campo medico. La sofferenza di una malattia può essere attenuata con la complicità di medico e paziente, con il dialogo che fa capire alla parte più debole della relazione che il percorso da affrontare è personalizzato sulle esigenze particolari e sulla comprensione reciproca. La condivisione del proprio nome è il primo passo per la creazione di un’interazione basata sulla fiducia, necessario elemento di forza per poter affrontare con positività le sfide giornaliere che si presentano tanto ai medici quanto alle persone che si trovano lontane dalle proprie case, a combattere lotte ancora più dure.