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Helter skelter ( ヘルタースケルター, Helter Skelter). Regia: Ninagawa Mika. Soggetto: dal manga di Okazaki Kyōko. Sceneggiatura: Arisa Kaneko. Fotografia: Sōma Daisuke. Scenografia: Enzo, Koizumi Hiroyasu. Costumi: Nagase Tetsurō, Shinohara Nami. Musica: Ueno Koji. Suono: Abe Shigeru. Interpreti: Sawajiri Erika, Terajima Shinobu, Momoi Kaoru, Mizuhara Kikio, Ohmori Nao. Produzione: Amagi Morio per Cine Bazar. Durata: 126’. Prima proiezione in Giappone: 14 luglio 2012.
Punteggio ★★★ Links: Mark Schilling (Japan Times)
Già autrice di Sakuran (2007), che rileggeva con indubbia originalità il mondo rigidamente codificato delle geisha nell’antico Giappone, Ninagawa Mika ritorna con Helter Skelter allo stile flamboyant del precedente film per narrare, invece, una storia strettamente contemporanea. Ma di là dal passaggio temporale, l’universo di riferimento è ancora una volta squisitamente femminile, e il posto delle geisha è preso dalle tarento, ovvero le giovani celebrità del mondo televisivo, destinate a riempire gli schermi e le copertine dei settimanali rivolti ai teenager per una stagione prima di ritornare nell’anonimato. Non è un caso che nei suoi deliri, Lilico, la protagonista del film, si veda assalita da un nugolo di farfalle, condannate come lei ad un’esistenza assai effimera. L’intreccio principale di Helter Skelter verte sulla suddetta Lilico, costretta a confrontarsi con l’inevitabile viale del tramonto della sua carriera, causato dai primi segni di cedimento di un corpo ancora giovane ma irrimediabilmente corrotto dagli eccessi della chirurgia estetica. Il film, tratto da un celebre manga, fa della sua protagonista tanto una vittima quanto una carnefice. Lilico è vittima della sua agente, che la sfrutta sul piano economico, della direttrice della clinica estetica, che la rende dipendente dagli interventi chirurgici come un tossicodipendente può esserlo dalla droga, della stampa scandalistica, che si serve di lei per aumentare le tirature, dei fans, che dopo averla adorata se ne sbarazzano divorando avidamente e facendo proprio tutto ciò che i giornali pubblicano per screditarne l’immagine. Ma Lilico ha anche fatto propria la stessa logica della società che la opprime, da sfruttata diventa sfruttatrice, e costringe così la sua segretaria personale (un’inedita Terajima Shinobu) a soddisfare i suoi impulsi sessuali, trascinandola in un gioco incontrollato di perversioni erotiche che finiranno anche col coinvolgere il fidanzato di questa. Non paga di ciò, Lilico introietta anche la spietata logica concorrenziale del sistema capitalistico, tesa all’eliminazione, senza esclusione di colpi, di ogni possibile rivale: e assolderà così la segretaria e il suo fidanzato perché eseguano il diabolico piano da lei architettato. In questa storia che dà per già avvenuta l’«ascesa» e racconta solo la «caduta», si innesta poi una trama gialla che coinvolge un detective e la sua assistente, i quali cercano di smascherare, con l’aiuto della stessa Lilico, in realtà assai reticente, le nefandezze della clinica estetica già citata, e di portare a galla le azioni criminose della stessa protagonista. Come se tutto ciò non fosse sufficiente, il film ricorre anche ad una dimensione narrativa che privilegia la dimensione soggettiva del racconto, in modo da alternare a situazioni e fatti «realmente» accaduti, eventi che, invece, sembrano porsi su una dimensione immaginaria o onirica. Comportandosi come la stessa eroina della storia, anche il film muove un attacco al mondo «tutto immagine» della società giapponese contemporanea utilizzando le sue stesse armi, ovvero un susseguirsi di immagini aggressive e/o accattivanti in pieno stile Mtv: macchina in continuo movimento e spesso a mano, montaggio di pezzi molto brevi (e talvolta di soli dettagli e particolari), jump cut, accelerazioni e rallentamenti , colori vividi e saturi, scenografie barocche all’inverosimile (come l’abitazione della protagonista, l’acquario in cui avviene l’incontro col detective, lo studio dell’ultimo show televisivo), e musica ad alto volume e onnipresente. Insomma quello che oggi si definisce uno stile postmoderno, fatto di fuochi d’artificio e attrazioni che immergono lo spettatore in un bagno di sensazione, «annichilendone»– direbbe qualcuno – «ogni facoltà critica». [Dario Tomasi]
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