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La più bella recensione di Hereafter l'ha data proprio Cecìle De France, la splendida protagonista del film:
'Clint è un uomo incredibilmente libero, ed è un tale maestro che ormai può affrontare anche temi enormi, come la vita dopo la morte, mantenendo sempre la sua semplicità e la sua capacità di saper parlare con il pubblico'.
Stop. Non c'è molto da aggiungere a queste parole, che dicono davvero tutto. O almeno quanto basta per farci amare un film straordinariamente imperfetto come questo. E pazienza se la sceneggiatura è zoppicante in più parti, se il ritmo è forse un po' troppo lento, specie nella parte centrale, se l'uso degli effetti speciali (abbastanza insolito per Eastwood) non appare sempre 'sotto controllo'... sono difetti che risultano davvero venali se paragonati alla grande portata emotiva di un film che tocca un argomento difficilissimo, spinoso, un'autentica 'trappola' per chiunque voglia cimentarvisi. Eastwood lo fa da par suo, e vince la scommessa nel solito modo di sempre: girando con estremo rigore e semplicità, arrivando dritto al cuore dello spettatore senza mai speculare sul dolore e senza ricattarlo emotivamente.
C'è una scena esemplare di Hereafter che dimostra quanto appena detto: siamo verso la fine del film, quando il ragazzino protagonista di una delle tre storie riesce finalmente a convincere il sensitivo George (un bravo Matt Damon) a metterlo in contatto col fratellino morto in un incidente stradale. Il medium capisce lo stato di disperazione e frustrazione in cui versa il piccolo ed inizia a mentire su quello che 'sente', facendogli credere che il fratello sia vicino a lui e lo sproni ad andare avanti senza paura. Sfido chiunque di voi a non commuoversi in questa sequenza, tanto toccante quanto elementare nella messinscena, che dimostra ancora una volta l'incredibile capacità dell'ottantenne Clint Eastwood di saper scaldare i cuori in un modocosìsemplice e così diretto da risultare disarmante e quasi 'miracoloso'...
Hereafter significa letteralmente 'aldilà', ma si capisce subito che al laico Eastwood interessa soprattutto l' 'aldiquà', vale a dire il modo di elaborare e scendere a patti con la morte da chi è rimasto in vita. Lo fa costruendo un film corale, composto da tre episodi nei quali si raccontano tre modi diversi di elaborare il lutto: nel primo una giovane e bella giornalista francese scampa miracolosamente a uno 'tsunami', che la inghiotte nella sua forza devastatrice e per qualche attimo la fa piombare nel limbo della morte, prima di essere salvata per i capelli. Nel secondo (girato a Londra) una madre drogata e scapestrata non riesce a prendersi cura dei due figli gemelli, uno dei quali viene travolto da un auto dopo un banale litigio tra coetanei. Nel terzo un giovane operaio di S.Francisco scopre di possedere la facoltà di mettersi in contatto con le persone defunte, ma questa 'dote' ben presto gli rovina la vita condannandolo a non poter più vivere un'esistenza 'normale'.
Eastwood, in nome della sua coerenza e della sua grande onestà intellettuale, non mostra nulla di quello che c'è (o potrebbe esserci) dopo la morte, non potendone ovviamente esserne a conoscenza. Ma allo stesso modo non rifiuta e non deride coloro che ci credono, partendo dal presupposto che nessuno di noi è in grado di poter giudicare ciò che ognuno 'sente' in relazione a questo, in ogni caso non dimostrabile.
Una grande lezione (l'ennesima) di cinema e di vita.
VOTO: * * * *
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