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Hernán Cortés e il tramonto dell’Impero Azteco

Creato il 04 dicembre 2014 da Retrò Online Magazine @retr_online

La conquista dell’America da parte delle popolazioni europee a partire dal XVI secolo in avanti rimane uno degli eventi più affascinanti e brutali della storia dell’uomo. Nel giro di pochissimo tempo imperi come quello Inca e quello Azteco scomparirono completamente, lasciando posto a una nuova colonizzazione e a un’epoca d’oro per i commerci internazionali. Il continente americano era un vero e proprio calderone di risorse minerarie e naturali, non sfruttate dagli indigeni che erano sì più arretrati tecnologicamente, ma erano dotati di un maggiore rispetto dell’opera della natura. Tra i protagonisti di queste campagne di conquista spicca sicuramente la personalità dello spagnolo Hernán Cortés.

Cortés, spagnolo di bassa nobiltà, inizia la sua carriera nel 1511 come segretario del governatore di Cuba, Velázquez. Il suo carattere di avventuriero lo porta a cercar fortuna nelle isole dei Caraibi, recentemente occupate dagli Spagnoli, ma la carriera di segretario non soddisfa la sua crescente ambizione. Nel 1518 riesce a ottenere l’incarico di guidare una spedizione sul continente, ma a causa dei cattivi rapporti con il governatore il compito gli viene revocato quasi subito. Cortés però vede in questa spedizione l’occasione giusta per ottenere fama e prestigio, quindi, ignorando deliberatemente gli ordini del suo superiore, parte comunque, forte di 500 uomini, 11 navi e alcuni cavalli.
Approda sulle coste della penisola dello Yucatán e inizia subito ad avere contatti più o meno violenti con le popolazioni indigene. In breve tempo riesce a prendere possesso dell’area dell’odierna Veracruz e a dichiararsi finalmente indipendente da Velázquez e dall’autorità di Cuba. In questo periodo a Cortés giunge voce di un impero estremamente ricco situato nell’entroterra, un impero la cui capitale sorge in mezzo a un lago e il cui splendore è ineguagliabile. Cortés richiede più volte a Montezuma II, imperatore azteco, un incontro diplomatico, ma gli viene sempre negato. Così, armato di un buon numero di uomini e di insaziabile avidità, il conquistador spagnolo non indugia ulteriormente e nel 1519 parte alla volta di Tenochtitlan, capitale dell’impero.

Gli Aztechi, civiltà piuttosto aggressiva, si erano fatti diversi nemici fra le altre popolazioni che non erano state assoggettate all’impero. Nel momento in cui Cortés passò nei loro territori alcune di esse, come per esempio i Nahuas di Tlaxcala, si unirono a lui ben volentieri pur di veder crollare l’autorità di Montezuma II.
Anche la religione praticata dagli Aztechi influì notevolmente sul successo del condottiero spagnolo. Una delle divinità principali del pantheon azteco era Quetzalcoatl, il serprente piumato, simbolo di fertilità e di buon governo. Secondo alcune teorie gli Aztechi avrebbero attribuito l’immagine del grande serpente proprio a Cortés. Gli indigeni non avevano mai visto cavalli, uomini con la barba e armi da fuoco e l’avvento improvviso di così tanti concetti nuovi potrebbe aver fatto loro pensare che la leggenda si fosse avverata e che Quetzalcoatl fosse finalmente arrivato a portare sulla terra una nuova età dell’oro. Si accorsero presto del grave errore.

Grandi quantità d’oro vengono donate agli Spagnoli quando essi arrivano a Tenochtitlan, ma ciò non fa altro che accrescere la loro avidità. Montezuma II, incerto su come comportarsi con questi stranieri, viene preso in ostaggio da Cortés che lo usa per governare indirettamente la città. Nel frattempo il governatore di Cuba, Velázquez, invia un contingente atto a fermare quest’opera di conquista non pianificata, tuttavia Cortés non solo trionfa in inferiorità numerica, ma riesce anche a convincere i soldati di Velázquez a unirsi a lui. Rapidamente ritorna con nuovi rinforzi alla capitale azteca, proprio quando l’imperatore viene lapidato dal suo stesso popolo in rivolta.

Gli Spagnoli, senza l’autorità di Montezuma II a supportarli, si ritrovano circondati dagli abitanti di  Tenochtitlan, ora loro ostili, e decidono di abbandonare la città. L’episodio della fuga nel 1520 è noto come Noche Triste: si racconta che proprio quella notte le acque del lago ribollirono come presagio di morte, la retroguardia di Cortés fu massacrata e gli invasori persero tutte le proprie ricchezze durante la rotta. È l’ultima vittoria azteca perché i conquistadores, ottenuti rinforzi dai Caraibi, vincono nella battaglia di Ocumba, dove con soli 1000 uomini riescono a sconfiggere più di 30000 indigeni. Cortés quindi torna a Tenochtitlan, pone un assedio di attrito e, quando gli abitanti  sono ormai stremati e stanchi, invade e rade al suolo la città depredandola di tutti i suoi tesori. Con la cattura di Cuauhtémoc, ultimo governatore della città, l’Impero Azteco scompare per sempre. Da quel momento Cortés governerà il Messico fino al 1524.

È impressionante come l’autorità di una civiltà così potente sia crollata nel giro di una decade per mano di un migliaio di uomini arrivati dal mare, ma questo evento ci aiuta a comprendere quanto il progresso tecnologico influisca sulla capacità di un popolo di dominare gli altri: è lo stesso meccaniscmo che si verifica in Africa e in Orientedurante il periodo coloniale.
Al di là dei vantaggi dovuti al progresso tecnologico, Cortés è stato comunque molto fortunato sotto vari punti di vista: le malattie portate in America dagli Spagnoli hanno indebolito notevolmente le popolazioni indigene; laddove gli Aztechi combattevano per catturare i nemici vivi, secondo le loro tradizioni, gli Spagnoli uccidevano senza pensarci due volte ed erano in possesso di tattiche ben più efficaci maturate da secoli di guerre in Europa; le suggestioni religiose e la personalità debole dell’Imperatore Montezuma II hanno dato il colpo di grazia alla civiltà Azteca, il cui crollo ha aperto le porte alla colonizzazione dell’America Centrale.

A cura di Tomass T. Vadi

Tags:Aztechi,conquistadores,Cortés,Hernán Cortés,messico,Montezuma II,Tenochtitlan

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