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“le sue recenti sventure potevano essere viste come un piano collettivo, con se stesso nel ruolo di partner, diretto a distruggere la propria vanità e la propria ambizione ad avere una vita personale, per dargli modo di potersi disintegrare e soffrire e odiare, come tanti altri, non appeso a una cosa tanto pregiata come una croce, ma giù nella melma del post-Rinascimento, post-Umanesimo, nella dissoluzione post-cartesiana, a un passo dal Vuoto”.
Con queste parole Bellow tratteggia una delle tante, embrionali, epifanie di Moses E. Herzog, il quale cerca se stesso e non si trova quasi mai, forse perché non sa nemmeno chi e cosa cerca. La dissoluzione di un mondo di valori sociali ed etici sceglie vie singolari per manifestarsi. In Herzog, capolavoro di Saul Bellow (1915-2005) pubblicato nel 1964, tale dissoluzione traspare attraverso le avventure di un uomo, un intellettuale, che si scopre, a quarantacinque anni (e con alle spalle due matrimoni falliti, due figli, una carriera universitaria interrotta, e una nuova amante), sull’orlo del Vuoto. Con la “V” maiuscola, perché è un vuoto metafisico, dunque non è il niente in sé e per sé, bensì qualcosa che lo è diventato, il niente.
Siamo negli Stati Uniti degli anni ’60. È un’America borghese e capitalista, post-kennediana, cinica quanto basta, che dà fastidio a Herzog. Egli è sempre fuori posto. È un uomo di origine ebraica dotato di un’inguaribile tendenza a rievocare la propria povera infanzia, senza essere capace di accorgersi che il tempo è trascorso anche per lui. Questa fissazione degli ebrei per la memoria! I bianchi anglo-sassoni cattolici che si vanno e vengono per le vie di New York e Chicago non sembrano avere memoria. Ma forse Herzog pensa così perché non sa guardare mai per terra, mai. Se lo facesse ogni tanto, forse starebbe meglio.
E poi questa America borghese e concreta è una salvezza per un uomo con la testa per aria: la concretezza e i modi spicci lo tengono inchiodato alla sua realtà. Si prenda l’ostilità tenace dell’ultima ex moglie, Madeleine, che si è appena messa con il migliore amico di Herzog, un uomo grezzo ma capace di darsi da fare per costruire un’immagine intellettuale di sé. Quest’odio di Madeleine angustia Herzog, ma lo costringe altresì a muoversi, a decidere, a prendere aerei, treni, auto, per vedere la figlioletta. Anche la bonaria riprovazione del fratello Will Herzog, facoltoso imprenditore di Chicago, consente a Herzog di non smarrirsi. Infine, solo la sua nuova amante, Ramona, una fioraia procace e dolce, assai lontana dalla seconda moglie, invidiosa del successo intellettuale di Herzog, lo aiuta a stare meglio. A un certo punto è il suo avvocato di Chicago che gli spiega nel modo forse più efficace perché con Madeleine è andato tutto male: “Perché tu, che sei un intellettualone, ti sei sposato una femmina intellettualona. In ogni intellettuale, da qualche parte, c’è sotto una stronza testa di cazzo qualsiasi. C’è gente come voi che non sa neanche rispondere alle vostre domande” .
Più chiaro di così. Ma non è chiaro affatto per lui! Perché Herzog sa che, come un destino ineluttabile, lui è obbligato a essere un Herzog. E ciò basta. Arrabbiato, intenzionato a far valere le proprie ragioni contro la ex moglie malvagia, il suo ex amico gradasso e traditore. Ma in realtà Herzog è intenzionato a far valere le proprie ragioni contro il mondo intero. Ecco la nevrosi! Ecco il problema, l’eterna inquietudine!
La nevrosi di Herzog è quella dell’intellettuale che, circondato da una società che si affanna a vivere senza domandarsi quasi mai che senso abbia farlo, ha in animo di costringere a riflettere più persone possibili sul senso dell’esistenza. Che presunzione infantile! Che arroganza! Che Narciso inguaribile! Alla sua età! Ha ragione il suo psichiatra e diffidare di lui (forse perché si è innamorato della sua ex moglie, Madeleine): “Herzog lavorava in una dimensione diversa – stava compiendo, così credeva, l’opera del futuro. Le rivoluzioni del ventesimo secolo … avevano creato una vita privata ma poi non avevano offerto nulla per riempirla. Era a questo punto che quelli come lui entravano in scena. Il progresso della civilità – anzi, la sopravvivenza della civiltà – dipendeva dai successi di Moses E. Herzog”.
Povero Herzog, così sensibile, così colto e tanto inconcludente! E così ingenuo da credere che il mondo aspetta di essere salvato da lui. Ci vorranno badilate e badilate in faccia, prima che egli capisca che il mondo non può essere redento da lui. Ramona, la sola donna che lo ama veramente, benché non sia un’intellettuale né ambisca a esserlo, glielo dice: “[Herzog] era un uomo tentato da Dio, che agognava alla grazia, ma che fuggiva a grandi passi dalla propria salvezza, spesso a portata di mano. Questo Herzog, quest’uomo dai molti talenti, per qualche motivo aveva sopportato nel suo letto una femmina frigida, intellettualoide, castratrice, le aveva dato il proprio nome e ne aveva fatto strumento di creazione, e lei lo aveva trattato con disprezzo” .
Tuttavia non è ancora il momento, per Herzog, di accettare le braccia di Ramona per sempre, sposandola. Sarebbe così semplice abbandonarsi a lei che non domanda altro che accudirlo. Lui però ha sempre altro da fare, altro cui pensare, che limitarsi a sopravvivere. La sua nevrosi si somatizza nello scrivere lettere che non spedisce mai. Scrive a chiunque: alla ex-moglie, al suo ex-amico, al suo avvocato, al suo psichiatra, all’ex Presidente Eisenhower, ai vari colleghi professori, a Spinoza, Nietzsche, perfino a Dio.
È un delirio di grafomania: si sente quasi investito da una missione: nell’epoca post-Umanistica, scientifica e tecnologica, lui è un inattuale, ma un inattuale che pretende di redimere il mondo. E per farlo, inizia dalle persone che gli stanno vicino, le quali, però, non hanno alcuna intenzione di essere redente da lui. E lo odiano o lo amano non per come lui dovrebbe essere, ma per come è, incostante, pigro, colto, intelligente. Insomma, Herzog. Ma lui è testardo e scrive, scrive: “che altro possono fare le persone che pensano e gli umanisti, se non affannarsi a cercare parole adatte?... È un po’ di tempo che scrivo lettere a destra e a manca come un forsennato. Parole e ancora parole. Io vado alla ricerca della realtà con il linguaggio…”.
Ma questa nobile idea filosofica è troppo complicata. E allora la realtà, stufa di questo attendismo, cerca di metterle lei a posto le cose, più o meno. Herzog va a Chicago; prima passa dalla casa del suo defunto papà: prende con sé alcuni cimeli. Dei rubli russi e una pistola carica. Poi va sotto casa di Madeleine e vede il suo ex-amico che fa il bagnetto alla sua figlioletta, la piccola June. Voleva forse ammazzare i due concubini? Chissà. Il giorno dopo Herzog può riabbracciare June: la porta in giro, le fa dei doni, è felice, è un papà premuroso e poi Madeleine, benché carogna, gli ha sempre detto che la figlia la può vedere quando vuole. Che bello essere papà e basta. Ma non è facile, i pensieri intellettuali lo disturbano. Perciò, mentre è in auto con June, ha un incidente: la piccola non si fa nulla, ma lui passa dei guai dato che si è dimenticato nella tasca della giacca la pistola carica. Che fesso! Madeleine corre alla stazione di polizia a recuperare la piccola June, mentre Herzog esce da lì solo perché il fratello Will gli paga la cauzione. Sembra il punto più basso della sua vita. Ma Herzog ha già intuito che esistono diversi modi per guardare la realtà e che una qualche verità incerta e a pezzetti, forse, si trova a metà strada tra il pensiero e l’azione: “… non è detto affatto che il non pensare sia fatale. Credevo sul serio che sarei morto quando si fosse arrestato il pensiero? Macché, temere una cosa del genere è davvero da pazzi”.
Per ripigliarsi Herzog si rifugia nella sua vecchia casa di campagna nel Massachusetts. La casa è in decadenza e trascorre alcuni giorni senza corrente elettrica. Mangia scatolette di carne e fagioli. Ma quell’isolamento non funziona più. Non può essere un eremita. Ha un gran desiderio di vita vera, anche se non osa confessarlo. Suo fratello Will va a trovarlo: Herzog allora si scuote. Gli attaccano la corrente, l’acqua torna in casa, si fa la barba, scende in paese a fare spesa. È più lucido, meno vanesio: “se la vita non spiegata non vale la pena di viverla, la vita spiegata è non meno insopportabile”. Finalmente un pensiero terreno! Herzog sta davvero diventando un’altra persona? Chissà… Lì in campagna scrive una lettera severa a Nietzsche: “Ripudiamo il genere umano come esso è, questa plebaglia volgare, gretta, fraudolenta, puzzolente, non illuminata… e non soltanto la plebaglia operaia, ma anche peggio la plebaglia ‘istruita’ con i suoi libri, concerti, conferenze… meritano tutti di morire e moriranno. Okay. Tuttavia i suoi estremisti devono sopravvivere. Senza sopravvivenza, niente Amor Fati. Anche i suoi immoralisti mangiano carne. Vanno in autobus…”.
Alla fine, sperduto nella campagna, Herzog si rilassa e si lascia andare. Ogni tanto torna ad arrovellarsi, a riflettere solo su se stesso, su cosa è e cosa non è. Ma lo fa con maggiore chiarezza e minore vittimismo: “Perché devo essere così angosciato… Ma lo sono, e ai cani vecchi non gli si può insegnare. Io sono così e così, e continuerò ad essere così e così. E perché reprimersi? Il mio equilibrio nasce dell’instabilità. Non organizzazione, o coraggio, come per l’altra gente. È duro, ma così. A queste condizioni io, io pure – persino io! – imparo certe cose. Forse è il solo modo in cui lo so fare. Bisogna che suoni lo strumento che mi ritrovo”.
Benedetta epifania! E per fortuna la realtà continua a perseguitarlo con amore. La procace e concreta Ramona riesce a scovarlo. Lo ama, è evidente, anche se Herzog ogni volta ne è stupito. Allora lui la invita a cena nella sua casa sistemata meglio che si può. Che succederà ora? Non lo sappiamo. Herzog è un inconcludente nato, dunque la sua storia non ha una fine. Non potrebbe averla, non possiamo pretendere da lui uno sforzo ulteriore verso la compiutezza, la stabilità, l’equilibrio. Noi gli vogliamo bene così e abbiamo un sospetto, una speranza. Che sposi Ramona. La sacerdotessa del sesso, così dolce, affettuosa e con i piedi ben piantati per terra. Dopo quasi cinquant’anni di volteggi in aria, caro Herzog, ne avresti bisogno…
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