Da maggio a ottobre del 2010 e 2011 il Parco Archeologico degli Scavi di Pompei ospitò l’edizione di “ Le Lune di Pompei”, consistente in visite notturne del sito archeologico. Per la terza edizione del Carnevale della Letteratura ricordo quelle notti del 2010 e 2011 che per me sono state tra le più magiche e suggestive finora vissute.
Nel chiarore magico e misterioso delle Lune Eterne ( la Luna di Morte, la Luna della Speranza, la Luna Virtuale, la Luna della Vita, la Luna che non c’è, la Luna che si Diverte) l’antica città sepolta racconta i misteri non svelati, che mai hanno abbandonato Pompei .
Il percorso parte dalla necropoli di Porta Nocera, prosegue nell’Orto dei Fuggiaschi, continua verso la Casa del Giardino d’Ercole, in via dell’Abbondanza, soffermandosi nella casa del profumiere, di Octavius Quartius,erroneamente chiamata in un primo tempo domus di Loreius Tiburtinus, di Venere in Conchiglia e infine si conclude con suggestivi ed onirici giochi di luce nell’Anfiteatro. La voce dell’attore Luca Ward e alcune proiezioni guidano il pubblico in una suggestiva ed eterna realtà parallela per fare vivere e rivivere Pompei.
L’eruzione del Vesuvio, per l’esattezza del monte Somma, nel 79 d. C. fermò la vita di Pompei sotto una coltre di cenere e lapilli spessa 6-7 metri. La maggior parte degli abitanti, fuggiti dalle case, trovarono la morte sul litorale. I pochi rimasti, sperando di salvarsi nei sotterranei delle abitazioni, morirono asfissiati. Toccanti testimonianze della tragedia sono i calchi dei Fuggiaschi, ricostruiti dall’archeologo Giuseppe Fiorelli nel 1863 versando gesso liquido nelle cavità lasciate dai corpi nello strato di cenere.
Camminare per le vie di uno dei siti archeologici più suggestivi e famosi del mondo, è sempre emozionante. È come viaggiare a ritroso nel tempo. Passeggiare di notte in una Pompei illuminata da splendenti Lune piene, seguendo un itinerario tracciato da fiammelle, è un’esperienza unica ed affascinante.
Passare in punta di piedi sulla strada , esterna alla cinta della città e conducente a Nocera, fiancheggiata da numerosi sepolcri monumentali dà l’impressione di violare e consacrare allo stesso tempo la profonda intimità della morte in una città apparentemente muta e deserta. Qui si coglie la ciclicità di vita e morte, ove la morte non è frattura o interruzione ma è una delle incombenze dell’uomo, un continuum della vita e la vita è commistione di otia e negotia , di sacro e profano confluenti nel mito. “Si tenevano in casa le ceneri o le immagini dei propri avi; li si salutava entrando, i vivi restavano in contatto con loro; all’entrata della città, le loro tombe allineate ai due lati della strada, somigliavano a una prima città, quella dei fondatori”(H.Taine – “Viaggio in Italia”)
Qui però stranamente si continua a respirare la vita quotidiana dell’antichità nelle abitazioni e nelle botteghe, il fermento dei luoghi pubblici, la devozione per gli dei e la pietas per i defunti, il gusto raffinato per l’arte e i piaceri della vita, il valore del talento, dell’ingegno e dell’operosità.
Le Lune di Pompei splendono in alto riversando un’aura di bianca quiete su luoghi che raccontano a tutti per essere ascoltati da alcuni.
Gli orti, arricchiti di filari e di ulivi dalla chiome argentate, nel 1961 restituirono alla storia tredici vittime dell’eruzione, asfissiate dal gas e dalle ceneri durante la fuga. Nei cosiddetti Orti dei Fuggiaschi il destino di Pompei parla a chiunque. La pietas erompe alla vista di sagome contorte e sofferenti. L’immaginazione assume una dimensione tristemente più concreta, ma proprio quei calchi fanno rivivere la città. I vuoti dei corpi si riempiono di tutta la vita narrata sui muri e sui basoli sconnessi, nelle domus, tabernae, terme, teatri e foro dando una dimensione umana ad una civiltà grandiosa.
Ogni muro, colonna, cubiculum, peristilio, cespuglio di rosmarino, giardino interno respira ancora e l’immaginazione restituisce gli affreschi, i mosaici, le suppellettili e le statue che arricchivano gli spazi, ora deserti, dove ti senti un intruso in uno scenario fuori dal tempo e percepisci un invadente senso di solitudine che ti riempie di riverente stupore ed ammirazione per un qualcosa di irraggiungibile e grande.
Come il bello che traspare dalla domus più raffinate. E ti pare di sentire le fragranze della casa del profumiere, di vedere scorrere l’acqua nella lunga vasca di marmo ombreggiata da una pergola nella casa di Octavius Quartius. Ti pare di vedere brillare al sole i personaggi mitici e leggendari di altri tempi e civiltà.
E ti chiedi chi possa avere calpestato quella strada, chi si sia fermato sull’uscio di quella locanda, chi sia l’autore di questi graffiti che,in questi casi, non informavano nè provocavano ma comunicavano per davvero un modus vivendi.
“ HIC SUMUS FELICES” cioè “QUI SIAMO FELICI”.
Una solenne proclamazione di gioia e vitalità collettiva che associo a tutte le genti che vivevano Pompei. Uno squillo per i secoli a venire , una speranza di buon augurio per noi, provenienti dal futuro, incapaci soltanto di definire la felicità se non per difetto e tanto meno di scrivere una cosa del genere sui muri di una qualsiasi città. “Qui siamo felici.” E sarà una delle magiche lune di Pompei o il fascino acuito dalle ombre di una dolce notte d’estate, sarà il mistero di queste strade percorse da chissà chi e di questi muri che raccontano più di mille parole, ma in questa scritta graffiata c’è tutta la vita, la forza prorompente e la grandezza di una civiltà. Qui siamo felici. E non provo invidia ma commozione e un senso di compiaciuta appartenenza a un patrimonio universale, a una sorta di Eden nascosto, carpito attraverso le fonti storiche.
Pompei, maledetta dalla natura e benedetta dagli dei, suggestiona chiunque nei suoi chiaroscuri, nell’eco remota che risuona dentro, nella sua immensità costellata da vibranti fiammelle che segnano il percorso, quasi a ricordo del percorso esistenziale dell’umanità.“Qui siamo felici” è l’epitaffio più bello in memoria di una città che ha ancora tanto da dire indistintamente a tutti.
Scontenti e perennemente incontentabili, riusciremo mai ad annunciare ai posteri “Qui siamo felici” non per effetto di una momentanea scarica di adrenalina o senza cedere ad una qualsiasi forma di finzione?