Ultimi romantici in un mondo in piena decadenza, gli High On Fire prendono l’assioma di Lemmy “se non piace ai tuoi genitori, allora va bene” e lo portano all’estremo. Il giorno in cui schiatterà, Matt Pike non vorrà essere certo ricordato come grande artista quanto piuttosto come “disturbatore della quiete”. Luminiferous, come qualsiasi dei loro dischi precedenti, è un esercizio nel riportare il metal a casa, un lavoro la cui caratteristica fondante e irrinunciabile è quella di essere fastidioso e non importa certo che il risultato finale possa essere a tratti poco fruibile. Volume, feedback, distorsione. Rumore. E’ in primo luogo un discorso di integrità, gli High On Fire possiederebbero tutti gli elementi per poter fare dischi più carini, di riff ne hanno a tonnellate e anche le intuizioni melodiche non mancano (The Falconist e The Cave, due dei pezzi in cui si fermano un secondo a ragionare, lo dimostrano ampiamente). A pensarci bene, se opportunamente direzionati e senza dover rinunciare a granché in termini di identità, potrebbero tranquillamente provare a fare un disco leggermente più smussato e completo (maturo, si dice) e nessuno avrebbe nulla da dire. La credibilità di Matt Pike non ne uscirebbe in alcun modo intaccata.
Però il disco maturo degli HoF a cosa servirebbe? A prendere il voto alto su Pitchfork? A fare quindici paganti in più a sera nel tour estivo? Cui prodest? A nessuno, e infatti continuano ad incidere il miglior disco possibile: lo svuotapista, quello che metti su per mandare a casa la gente quando decidi che si è fatto tardi e la festa è finita. La missione degli High On Fire è portare l’ascoltatore allo sfinimento, e dopo quattro pezzi generalmente ci riescono. Vedete voi se finita Slave The Hive non è il caso di mettere un secondo in pausa e farsi un bicchiere d’acqua. Per Luminiferous quindi vale un po’ lo stesso discorso fatto per Time To Die qualche tempo fa; gente come gli HoF o gli Electric Wizard sono più di semplici band, sono guardiani dei confini e i loro album continuano a segnare lo spartiacque tra quello che è una parruccata e ciò che è reale. Viviamo in un mondo in cui le celebrity hollywodiane si fanno fotografare sul red carpet in posa con le corna e la lingua di fuori. Se entri da H&M, Primark o un altro di questi grandi magazzini puoi trovare senza difficoltà vagonate di magliette di gruppi opportunamente infighettite o giacchette agghindate con loghi di band fasulle. Per strada è pieno di ragazzine col ciuffo fucsia e la maglietta dei Misfits che non hanno mai ascoltato Earth A.D. La pagliacciata incombe, gli High On Fire sono l’antidoto.