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Himalaya/Almora, ecco la villa di Terzani nel parco di Binsar! Il 'rifugio di Anam'
Creato il 13 giugno 2015 da Mariagraziacoggiola“Forse è perché, da viaggiatore, si è sempre altrove, che alla fine ci sono tanti posti – probabilmente troppi – in cui uno si sente stranamente «a casa». Sono arrivato qui al tramonto con Billa alla guida e Mahesh al suo fianco e l’Himalaya mi ha accolto con la più straordinaria cerimonia della natura. Le montagne limpide fino in Nepal, il cielo azzurrissimo e la luna prima come una carta velina bianca, poi fosforescente, grandiosa, come un insolitissimo gioiello. I pini e i cedri si son fatti neri, il cielo arancione, poi violetto, la valle si è taciuta e il silenzio era rotto solo dal lontano latrare dei cani. Che benvenuto!”.
Ho letto i diari di Tiziano Terzani (Un’idea di destino) da cui e’ tratto questo brano scritto il 20 gennaio 2002 quando ritorna ad Almora con l’intenzione di starci per un paio di mesi ospite di una coppia, Vivek Datta e la moglie belga Marie-Therese. Poi ci e’ stato dal 2000 al 2002 con qualche interruzione come leggo nella prefazione della moglie Angela Staude.
Da queste sue note sono riuscita a capire dove era il suo ‘rifugio’ nel parco di Binsar, a oltre 30 chilometri dalla citta' di Almora, nello stato himalayano dell'Uttaranchal. E’ stata una vera emozione ripercorrere a piedi quegli stessi sentieri e vedere quegli stessi paesaggi, anche in questa stagione non si vedono i picchi innevati e i rododendri non sono in fiore. La pineta e’ secca e le montagne hanno un aspetto autunnale, un po’ triste. Anche le albe e i tramonti non sono luminose come quelle che lui descrive. Se devo dire la verita’ non c’e’ nulla che corrisponde nella ‘cerimonia della natura’ di cui parla. Purtroppo sono nella stagione sbagliata, mi hanno detto quelli del posto. Oppure non sono cosi’ incantata e ispirata da questa parte di Himalaya come lo e’ stato lui. Dunque ho trovato la sua casa dove si era ritirato per fuggire ad un India che ormai non gli piaceva piu’ e anche per accettare la sua malattia mortale. Qui ha iniziato a scrivere un ‘Altro Giro di Giostra’ e qui ha scritto anche la lettera dall’Himalaya “Che fare?” all’epoca della polemica con Oriana Fallaci.
Mi aspettavo di vedere una ‘baita’, ma in realta’ e’ una bella e grande casa in pietra all’interno di un ‘estate’, un grande appezzamento di terra coltivato dove ci sono anche altre ville coloniali tra cui quella della proprietaria, Mukti Datta, una attivista impegnata sul tema dell’ambiente e delle donne. Mukti e’ la figlia di Vivek Datta, il coltissimo ‘guru’ di Terzani, scomparso nel 2009. Quando parla di lui cita un proverbio: “quando l’allievo e’ pronto il maestro compare”. I Datta hanno comprato l’appezzamento nel 1956 e da allora vivono la’.
La proprieta’ e’ all’interno di un parco nazionale, il Binsar Sanctuary, che e’ una riserva protetta, si paga 600 rupie per l’ingresso (per gli stranieri) piu’ un altro biglietto per macchina o moto. Racchiude un’intera cima di oltre 2.200 metri di altitutine. Io sono salita con la mia moto e dopo sei chilometri di strada asfaltata ho parcheggiato vicino a un tempietto come da ‘istruzioni’ che mi hanno dato all’ingresso quando ho chiesto come raggiungere il ‘Nandadevi estate’.
Dal tempio parte un largo sentiero che si snoda per circa due chilometri. Mi hanno detto di ‘tenere sempre la sinistra’ e proseguire “fino a quando non si vede un cancello’. Non ci sono infatti segnalazioni e non c’e’ anche molta gente a cui chiedere. Dunque un po’ a tentoni sono arrivata al ‘mandir’ e poi ho imboccato il sentiero dopo aver chiesto ad un guardiaparco.
Mentre salivo mi ricordavo della ‘pantera assassina' descritta da Terzani e in effetti avevo un po’ di timore...ero completamente sola nel bosco, stranamente silenzioso, neppure il canto degli uccelli, solo il fruscio del vento e il rumore dei miei scarponi sulle foglie secche.
Quando sono arrivata, intrufolandomi con un certo timore nel cancello aperto, c’era solo il giovane figlio di Mukti, Arjun, e due grossi cani alla catena, un San Bernardo e un pastone tibetano, quest’ultimo un po’ aggressivo. Mi sono subito informata, non c’erano ai tempi di Tiziano. Il ragazzo mi ha indicato la casa di Terzani, a circa 300 metri dopo un avvallamento e ha chiesto a un servitore di accompagnarmi. Mi ha anche mostrato una piccola casetta in muratura appena dopo il giardino che e’ quella dove lo scrittore e’ rimasto per alcuni mesi in attesa che costruissero la nuova villa. Parlo di ‘villa’ perche’ lo stile qui e’ quello di edifici coloniali britannici in pietra e legno. Si potrebbero definire delle grosse baite.
Il ‘rifugio di Anam’ , il ‘senza nome”, come lui stesso chiama la casa nei diari, si affaccia su due lati sulla vallata, e’ circondata da una veranda e davanti ha un prato che ora e’ ingiallito perche’questa e’ la stagione piu’ secca. Ora e’ vuota. Di tanto in tanto viene affittata a degli amici della famiglia Datta. Adesso per esempio stavano aspettando della gente di Jodhpur,in Rajasthan.
Chissa’ perche’ mi ero fatta l’idea che Terzani avesse scelto di fare una vita da eremita o da sanyasi, come si chiamano coloro che hanno intrapreso un cammino spirituale. Invece non e’ proprio cosi’ e prrobabilmente mi ero fatta un’idea sbagliata. A parte l’erudito Vivek, con cui passa molto tempo, era circondato dal personale della casa che lo aiutavano a riparare le cose, a scaldare l’acqua, a pulire e in altre faccende. Aveva anche un autista locale e uno, Billa, nel suo alloggio di New Delhi, a Sujan Singh Park.
Il che mi viene da riflettere sulla mia vita in India. E’ cosa normalisssima in India avere i servitori e fare un vita diciamo da colonialista bianco. Io pero’non mi sono mai sentita a mio agio nei panni della 'memsahib'. Quindi cucino, lavo, pulisco, guido e, nel limite delle mie capacita’, riparo le cose. In dieci anni di India ho imparato molti mestieri, da come collegare i cavi coassiali a come sturare lavandini e cessi. Chiusa parentesi.
Quindi ho imboccato un sentiero in direzione della casa, accompagnata da un vecchio giardiniere con degli orecchini d’oro, come si usa qui. Si chiama Puran Singh (nella prima foto sopra e' quello a sinistra). Nei diari e’ citato appunto come ‘Puran’. Di nuovo e’ stato molto emozionante per me vedere questo posto che e’ legato alle cose piu' belle e profonde che ha scritto. C’e’ un passo, in particolare, che amo e che e’ l’inizio della lettera dall’Himalaya (‘Che fare?’) del 17 gennaio 2010. Forse perche’ sto invecchiando anche io, sento queste parole particolarmente vicine. Eccole:
“Mi piace essere in un corpo che ormai invecchia. Posso guardare le montagne senza il desiderio di scalarle. Quand'ero giovane le avrei volute conquistare. Ora posso lasciarmi conquistare da loro. Le montagne, come il mare, ricordano una misura di grandezza dalla quale l'uomo si sente ispirato, sollevato. Quella stessa grandezza è anche in ognuno di noi, ma lì ci è diffìcile riconoscerla. Per questo siamo attratti dalle montagne. Per questo, attraverso i secoli, tantissimi uomini e donne sono venuti quassù nell'Himalaya sperando di trovare in queste altezze le risposte che sfuggivano loro restando nelle pianure”.
Puran mi introduce ad altri due uomini piu’ giovani che troviamo in giardino intenti a tagliare l’erba. Uno e’ Govinda Ram, ex cuoco di Terzani e l’altro e’ Pramod Joshi, giardiniere che ora cucina per i Datta. Non riescono a pronunciare bene il nome, lo chiamano ‘Tristano’ . Nel mio hindi, un po’ maccheronico, chiedo loro che tipo era. L’ex cuoco Govinda agita le braccia e gonfia il petto per imitarlo e farmi capire che era un carattere irruento. Ma poi ride e dice che era una bravissima persona. Aprono la casa e mi fanno entrare in salotto. C’e’ un bel caminetto e in un angolo , tra grandi finestre che si aprono sulla vallata. il tavolo da pranzo. Al primo piano ci sono due camere da letto, una piu’ grande con un bellissimo bagno con un parquet in legno stile barca a vela. Tra le due stanze c’e’ un pianerottolo con un tavolo (nella foto). “Tristano leggeva qui” mi dice Puran e poi nel pomeriggio si spostava nell’altra stanza dove c’era piu’ sole. La visita e’ durata poco, ma non mi sembra di aver trovato traccia degli acquerelli o di altri oggetti che lo ricordano. L’arredo e’ minimo e abbastanza impersonale.
Come all’epoca in cui Terzani stava qui, l’elettricita’ non c’e’. Ci sono dei pannelli solari. Intorno alla casa c’e’ un grande orto a terrazza dove si coltivano quasi tutte le verdure. Vedo poi dei cavalli, mucche e anche delle capre cariche di lana, che fotografo. Il silenzio quassu’, saremo a 2 mila metri, e’ impressionante. Sento solo il fruscio delle foglie delle querce e cedri. Si ha una sensazione di grande pace. Mi verrebbe voglia di stendermi all’ombra della veranda (il sole e’ cocente ora) e dormire cullata dalla brezza.
Prima di venire quassu', sul mi taccuino ho trascritto un altro brano dei diari. “Niente di quello che potrei trovare dentro di me è così stupefacente come quello che ho dinanzi agli occhi, che trovo assurdo avere chiusi. Mi lascio come inebriare dai colori, dal silenzio, dal vento, dal richiamo dei miei corvi che, riconoscendomi vigliacco, se ne vanno lasciandomi per terra» .
Chissa’ dove sono quei corvi ora.
PS questa e’ la seconda casa di Terzani che visito dopo quella della tartaruga a Bangkok (vedi qui). A New Delhi, invece, stava a Sujan Singh Park, uno dei piu’ prestigiosi della capitale dove stava anche il famoso scrittore Kushwant Singh.
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