Roma, Traffic.
Ogni tanto capita che un gruppo dal quale non ci si aspetta chissà cosa, dal vivo poi stupisca oltre ogni limite. Dopo averli saltati l’anno scorso per diversi motivi, questa volta non perdo l’occasione per andarmi a vedere gli Hirax, un vero e proprio oggetto di culto in ambito thrash, noti per lo più per Katon W. De Pena, il cantante nero più famoso di tutto il metal.
Arrivo al Traffic per le nove e sul palco ci sono i Past The Fall, trio londinese che suona un metal moderno, quel genere di thrash che, oltre a riprendere i Metallica, ci mette in mezzo un po’ i Machine Head di Burn My Eyes. Sotto ci saranno non più di venti persone, il che non stupisce, visto che il gruppo in questione, oltre a essere sconosciuto, non è niente che non abbiamo già sentito migliaia di volte. Senza infamia e senza lode.
Seguono i messicani Piraña: in giro dal 2003, sono un misto tra gli Exodus di Fabulous Disaster e i Sepultura di Beneath The Remains e Arise, e devo dire che live se la cavano benissimo: hanno un’ottima resa e suonano molto veloci. Il fatto di venire dal Messico, oltre a donar loro un’attitudine vagamente stradaiola, li rende molto simpatici al pubblico (aumentato un po’ di numero), che azzarda anche accenni di pogo e stagediving. A parte gli Hirax, sono quelli che convincono di più stasera e che ricorderemo sicuramente in maniera piacevole: diretti, essenziali ed efficaci. Non si può dire lo stesso degli australiani Desecrator: se i Piraña sono riusciti un minimo a scaldare l’atmosfera, la band di Melbourne (da non confondersi con gli omonimi inglesi, che hanno poi cambiato nome in Consumed) propone un thrash veramente scialbo, che non entusiasma nessuno (i presenti sono pochi in più rispetto al concerto dei messicani) e che non lascia alcuna traccia del suo passaggio.
Cresce l’attesa per gli Hirax, che iniziano con la strumentale “100000 Strong”, al termine della quale entra in gioco il mitico Katon W. De Pena. Appena arriva si capiscono subito le sue doti come showman: è una vera e propria bestia da palcoscenico, in grado di far divertire chiunque, ed ha ancora voce. Dire che è in forma smagliante questa sera è riduttivo, perché chi riesce a dominare la scena in questo modo non è un cantante qualsiasi. Il resto della band non è da meno e si scatenano il moshpit e lo stagediving più violenti, grazie anche a una scaletta ben bilanciata, che – oltre a pezzi nuovi come “El Diablo Negro” – contiene anche vecchi cavalli di battaglia: “Hate, Fear And Power”, “Bombs of Death” e “Assassins Of War”. L’affluenza è sempre molto scarsa, con non più di sessanta-settanta persone, ma sembrano tutte divertite, dalla prima all’ultima. E in effetti non trovo altro aggettivo adatto a descrivere questa performance se non “divertente”: non abbiamo di fronte il gruppo definitivo, né uno per il quale varrebbe la pena farsi chilometri e chilometri di strada, ma oggi sono tutti esaltati come se fosse proprio così. Davanti a reazioni del genere, capisci veramente cosa voglia dire essere dei personaggi leggendari. Katon non avrà mai lo stesso spessore e la stessa fama di James Hetfield, Dave Mustaine, Tom Araya e gli altri nomi stranoti del thrash metal, ma se tutti si ricordano di lui e continuano a menzionarlo come un mito vivente, un motivo ci sarà, e stasera chiunque ha capito perché. Dispiace sul serio vedere così poca gente questa sera: forse non è stato il concerto della vita, ma di sicuro uno di quelli che meritano d’essere ricordati.
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