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Ho bisogno di un’altra cura per la mia Weltschmerz.

Da Arturo Robertazzi - @artnite @ArtNite
  • Categoria Cuore
  • Categoria Stopmaco

Mi chiedono spesso come mai un poco più che trentenne sceglie di scrivere un romanzo ambientato in una guerra, e in particolare in una della guerre della ex Jugoslavia.

Perché non un romanzo più leggero, un thriller magari o addirittura un romanzo d’amore?

A questa domanda io ho sempre risposto con un’altra. Ho cominciato a scrivere Zagreb a fine anni ’90, e all’epoca, abbiamo sentito della guerra lampo in Slovenia, della guerra in Croazia, della guerra in Bosnia, della guerra in Kosovo, per rimanere in Europa. Ma nello stesso periodo vedevamo la prima guerra in Iraq e i tanti disastri africani.

Ecco, alla domanda rispondo con questa domanda: come potevo io non scrivere di guerra?

Ammetto è una soluzione un po’ retorica. Ma dopo le presentazioni di Zagreb, che ora cominciano a essere tante, credo di aver capito una cosa che non mi era mai stata chiara prima: le guerre di quegli anni hanno scolpito un solco profondo, da qualche parte dentro di me. Dire che io, che noi, non abbiamo vissuto quelle guerre, secondo me non è corretto. Le guerre le abbiamo prese in pieno, ma non ce ne siamo mai accorti. O meglio: io non mi sono mai accorto che le città martoriate, le popolazioni maciullate, i rischi di guerra totale in realtà sono entrati dentro di me e ne sono usciti, a gocce di inchiostro, solo quando ho scritto Zagreb.

Comincio a credere che Zagreb sia stato un tentativo di cura. Di autocura.

Oggi, però, per varie ragioni, mi ritrovo fino al cuore, dentro i disastri che succedono in Egitto e Siria: qualche giorno fa decine e decine di uomini massacrati in un campo di calcio in Egitto, oggi centinaia di vittime in Siria.

Come si può godere del sole di Berlino, come si può amare, come si può accettare di vivere in un mondo che sta scivolando dentro un neo-medioevo?

Un amico berlinese mi diceva che sono da troppo tempo in Germania e che sto sperimentando quello che in tedesco si chiama Weltschmerz.

Dopo Zagreb, avevo molti dubbi su quale romanzo avrei scritto. Ecco, credo che siano dei dubbi risolti: ho bisogno di un’altra cura.

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