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Un tempo c'erano i film di Matarazzo ed i romanzi di Liala, oggi invece a sopravvivere è un tipo di letteratura apertamente indirizzata ad un pubblico femminile in cui tra melodramma ed inevitabile lieto fine l'amore viene celebrato nelle sue manifestazioni più lacrimevoli e dolorose. Così se da una parte gli omologhi del regista italiano sono scomparsi dallo schermo, lasciando spazio ad uno stuolo di onesti professionisti capaci di replicare senza soluzione di continuità il marchio di fabbrica di quel filone, dall'altra si è ormai affermata nel cinema americano la presenza di uno scrittore come Nicholas Sparks, una specie di Philip K. Dick della tenzone amorosa che grazie a romanzi sfornati con impeccabile tempismo è diventato un riferimento costante per quelle produzioni mainstream che hanno voglia di aggiornare al tempo presente le gesta degli eroi e delle eroine che resero eterne le opere di Jane Austin ed Emily Bronte.
Una tendenza che il cinema hollywoodiano ha trasformato in un vero e proprio sottogenere in grado di riprodursi attraverso codici ben definiti, lontani da qualunque tipo di originalità, perchè in fondo tutte le storie si sviluppano attorno ad un amore che diventa possibile a patto di pagare dazio ad una via crucis di speranze e delusioni, ma dotati di un'efficacia derivata dall'equilibrio con cui gli stessi vengono distribuiti lungo il corso della storia. Ed anche questa volta come già in "Dear John"(2010) altro film tratto dal prolifico scrittore - sono ben sei i libri tradotti sullo schermo ed altri sono già stati opzionati per lo stesso scopo - c'è di mezzo una guerra ed in particolare quella combattuta dall'esercito americano nel teatro iracheno dove presta servizio il sergente dei marines Logan Thibault (Zac Efron) miracolosamente sopravvissuto ad un imboscata del nemico. Convinto di essere stato salvato dalla foto di una donna raccolta sul luogo dell'incidente Thibault una volta a casa decide di mettersi alla sua ricerca e quando la trova finisce per innamorarsene. Conquistare Beth però non sarà facile perchè oltre alle ferite per la recente scomparsa del fratello dovrà tenere a bada l'arroganza e la perfidia dell'ex marito. Girato in maniera professionale ma senza nessuna sorpresa da un regista, Scott Hicks, diventato famoso per aver diretto il film (Shine,1996) che ha fatto vincere l'oscar a Geoffrey Rush, "Ho cercato il tuo nome" conferma luoghi e situazioni rintracciabili in tutto il cinema targato Sparks a cominciare dai personaggi costruiti sulla base di un trauma che solo l'amore è in grado di lenire e portatori di una bellezza sofferta e naturalmente introversa, e poi dal paesaggio,disegnato come un eden in cui trovare rifugio ed in grado di rispecchiare l'integrità delle figure che lo abitano, per non dire della costruzione drammaturgica ancora una volta innescata da un omissione che in questo caso ruota attorno alla mancata rivelazione da parte di Thibault dell'esistenza della fotografia e del motivo che l'ha portato a cercare Beth.
Classico nello sviluppo della trama e nella centralità dei personaggi il film doveva essere un altro passo verso la maturità cinematografica della star che lo interpretava: in questo senso la performance di Zac Efron delude perchè la preoccupazione di mostrarsi adulto imprigiona l'attore in una postura perennemente irrigidita ed in una recitazione legnosa, in cui il famoso sorriso si trasforma in una seriosità senza luce. Meglio di lui fanno sicuramente i suoi partner, da Taylor Shilling, una Beth dolce e tormentata ma soprattutto Jay R. Ferguson in uno ruolo come quello del marito geloso, intriso fino all'ultima goccia da un maledettismo funesto e senza speranza che sembra uscire direttamente da una piece di Tennessee Williams.
(pubblicata su ondacinema.it)
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