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Ho chiesto alla mia bici di andare a convivere

Creato il 19 luglio 2014 da Olga

bici
La bici che mi hanno regalato (e ho scelto io) per i miei 30 anni va così bene che ho cominciato ad avere tutti quei dubbi e desideri di possesso totale propri degli innamoramenti folli, graduali e irreversibili. Tipici con un uomo vecchio o bruttino. Non so voi come vi accorgiate di essere innamorati, io me ne accorgo di solito in absentia. Della mia nuova bici mi sono accorta di essere completamente innamorata dopo qualche mese che la corteggiavo, ieri notte, poco prima di andare a letto, dopo averla avuta per tutta la sera. In absentia, certo, non me la sono sentita di portarla in casa. Ma comunque ne stavo osservando una sua rappresentazione fotografica scattata nel pomeriggio. Me l’hanno regalata a dire la verità il 2 aprile, ma l’ho avuta solo ieri. Durante tutto questo tempo, di sabato sono sempre andata in negozio a vedere se era arrivato il pezzo che non arrivava mai. Proprio come tutti i corteggiamenti cortesi, cioè dell’amore cortese si intende. C’è sempre una condizione di impedimento, un elemento di lontananza, che rende l’amore impossibile, per certi versi irrealizzabile, platonico, cristallizzato, unico. Ma allo stesso sublimante. Un piccolo cono d’ombra di non conoscenza. Quell’ignoranza che più dura e meglio è.

E così ho fatto amicizia con i ciclisti (non si dice così, ma biciclettai nemmeno mi piace) che mi hanno dato una bici sostitutiva, quando, dopo qualche mese che il pezzo non arrivava mai, li ho minacciati di arrabbiarmi seriamente. “Non puoi. Tu sei una di famiglia Olga, ti darò la bici di mia moglie”, mi hanno detto. Ho detto ok, e ho rimandato l’appuntamento estivo con la bottecchia del 1966 campioni del mondo a data da destinarsi.

Oggi mentre percorrevo a 45 km/h le strade asfaltate di Milano con la mia bici, pensavo che no, in questo caso non ero disposta a lasciarla libera di farsi rubare e possedere da qualcun altro. Sono una persona libera, non mi affeziono agli oggetti, so che la felicità legata al possesso è una cosa effimera, che va vissuta in praesentia per questo inutile affezionarsi anche solo all’idea. Mi sono chiesta se il lucchetto da 30 euro fosse un dissuasore sufficiente. Mi sono chiesta se possa avere cuore una persona che decide di fottersi la mia bici, che traspira la mia personalità da ogni poro. Forse dovrei metterne un altro. UN altro lucchetto. Forse devo dire all’amministratore che provveda a ricavarmi un posto sicuro per la mia bici. E mentre scrivo queste parole mi chiedo se qualche malintenzionato non la stia tentando con quelle facili promesse del seduttore. Mi sono domandata se non fosse il caso di portarla a casa tutte le sere, con me. Mi sono detta che questo era un amore maturo, perché a differenza della prima Bianchi, avuta fortuitamente a 12 anni perché rubata a mio padre, questa l’ho scelta proprio come la volevo io. Cioè, non è stata una fortuna che mi piacesse così tanto, come la Bianchi. Non è stata la fortuna del primo amore, che in fondo ti va bene, accetti tutto, rinunci a tutto, un po’ cambi, un po’ ti convinci che lui abbia ragione. E allo stesso tempo sul serio, non vorresti cambiare niente di lui, perché è quello che ti è stato dato, e tu l’hai trovato per caso, e non c’è una casistica di delusioni precedenti cui fare riferimento. Ed è più la curiosità di scoprire la vita di coppia, che il fascino dell’oggetto della coppia a farti andare avanti. Non è così. Questa l’ho scelta timidamente io, senza eccessiva convinzione, qualche mese fa, fidandomi dell’istinto. Quasi se si potessero intuire i colpi di fulmine. Ma certo, disposta a mettere in discussione tutto, ma proprio tutto da un momento all’altro, facendomi forza delle esperienze precedenti. E invece no, sull’asfalto fila,  e non ha niente a che vedere con quelle bici a scatto fisso. Non è leggerissima, dico,  ma va bene, le ruote sono affidabili, tagliano bene i binari del tram. Ha tutti i segni dei passati utilizzi, e mi chiedo chi sia stato prima di me a usarla. Non le chiederei mai di rinnovarsi le etichette. Ma un giorno qualcuno riuscirà a rubarla, e di lei resteranno le esperienze. Io mi chiederò che cosa ho sbagliato, mi sentirò colpevole. Poco dopo lo psicologo mi dirà che queste sono colpe condivise: io volevo che lei se ne andasse, l’avevo trascurata, e lei era troppo bella perché potessi averla solo io senza trattarla con l’adeguata cura. “E poi, diciamocelo: avevi anche smesso di chiuderla come si deve. Avevi smesso di lavarla, d stringere i freni. Il cambio non funzionava pù, il freno andava solo quello davanti: avevate avuto il vostro tempo”. Potrò sempre sperare in un ritorno, e lo psicologo non sarà d’accordo Del resto, è difficile non sperare di ritrovare quella Bianchi che nemmeno mi prendevo la cura di chiudere.


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