Ho avuto fede in un partito, quel PCI di Berlinguer che mi riempiva il cuore di speranze e di possibili futuri diversi, pacifici, giusti, solidali.
Ho continuato a crederci quando dopo la caduta del muro di Berlino, fece “la svolta della Bolognina”, una scelta difficile e dolorosa per certi versi, ma obbligata per altri, Si trasformò in PDS, ma era sempre un partito.
Poi, la parola partito, chissà perché è stata cancellata, diventammo DS.
Fui contenta quando si tentò di ricostruire un partito, con la fusione del DS, popolari, e altre sottocorrenti. Consapevolnente decisero di unirsi per formare un vero partito: il Partito Democratico.
Fui contenta quando Walter Veltroni ne divenne segretario. Mi piaceva il suo nuovo modo di parlare, da democratico.
Ma non è sufficiente cambiare nome, darsi un programma.
Quello che rimane sono le persone, con la loro storia, la loro strada tracciata da percorrere come un treno sui binari. Tuttavia, pur apprezzando profondamente il loro lavoro, se le stesse persone rimangono alla guida del Partito, non si rinnova nulla, non si cambia mentalità. Si conservano i vecchi schemi e si radicalizzano le origini.
Rimangono gli stessi vizi, le stesse modalità di operare, le stesse limitate capacità di aprirsi ad altre idee, di discutere senza escludere, di vedere oltre i propri piedi ed i propri personali interessi.
E’ quello che è successo al Partito Democratico, che ha ottimi principi, ma che non riesce ad amalgamarsi e rimane pieno di grumi, come una maionese impazzita, non si uniforma, non si compatta, spuntano sempre i personalismi.
Non è una trasformazione facile da fare, ma io ci credo, e sarà l’unico partito degno di questo nome che riuscirà a far emergere il nostro paese dalle sabbie mobili in cui è caduto.
In questi anni però, chi si riteneva democratico, avrebbe dovuto ispirarsi alle parole di Berlinguer, al suo rigore morale, alla sua onestà intellettuale, invece è successo che alcuni personaggi, hanno sentito di più il richiamo del berlusconismo, di quel modo di operare che è “per il proprio interesse” e non per il bene comune.
Da qui la scoperta, purtroppo delle mele marce, anche dentro il Partito Democratico.
Quelle persone del PD che hanno operato male, ai soli fini di arricchimento personale, che hanno seguito le idee populiste della destra berlusconiana, più che le idee di un vero partito democratico, dovrebbero andarsene tutte, fare un grande esame di coscienza e dire, pubblicamente o meno, che “non possono restare in un partito come il PD, altrimenti rischiano di rovinarlo”.
Abbiano questo coraggio, il Partito può farne a meno di loro, ma non può fare a meno di avere un’etica ed una onestà come debbono avere coloro che si apprestano a governare un paese.
E’ meglio meno gente, meno persone in vista, ma più popolo e più rigore morale.
E non mi interessa se non c’è un leader. Un partito, per me, è la gente, non è una persona sola.
E chi crede di avere il “carisma” per guidare un partito, è solo un presuntuoso che pensa di avere il dono di Dio, sia, invece, umano, corretto, giusto rispettoso, sincero, onesto, con le mani pulite, e un brav’uomo o una brava donna, senza credersi, “il sogno degli italiani”.
Le mie sono parole ingenue, la politica è una roba più complicata, me ne rendo conto, ma sono parole di speranza in qualcosa di meglio che lo zibaldone di oggi.
Tuttavia sono sempre più convinta che, senza il Partito Democratico, questo paese non riacquisterà mai la dignità perduta dei tempi di De Gasperi, di Moro e di Berlinguer.