Pronti, via. Sanremo, il Teatro dell'Ariston ha un palco a metà tra una pista da balera e una discoteca tamarra. Cominciamo male.
Più tardi, il tema musicale scelto per introdurre le pause pubblicitarie e per rientrare alla trasmissione dalle stesse la dirà altrettanto lunga.
Quando poi Conti racconta la storiella piaciona del Festival della «gente comune» si intuisce che sarà ancora peggio. Meglio prepararsi.
La prima mandata di «campioni» è stata fiacca e scialba. Chiara apre le danze con un pezzo smelenso e noioso, privo di pathos. Grignani (forse per una volta sobrio?) appare allo stesso modo poca cosa, senza sostanza né tanto meno intonazione.
Malika Ayane, la “grande esclusa” dell'edizione 2010, appare anch'essa tutt'altro che in palla, con le sue influenze black music sempre più in un angolo e un pezzo che vale poco, assestato sullo standard da Ariston.
Ai Dear Jack bisogna spiegare che non bastano degli strumenti elettrificati sul palco per fare una rock band, specie se il sound che ne viene fuori è di fatto un clone del “pezzo facile” pop all'italiana.
Il rock si suda e si urla, anche nella sua versione più melodica.
Impalpabili le esibizioni di Lara Fabian, Annalisa e Nesli. Non pervenuta la prima, praticamente incapace di incidere anche solo a livello interpretativo. D'altronde il suo curriculum parla chiaro e, per l'appunto, francofono. Tutto inizia a tornare: ora, onestamente, alzi la mano chi la conosceva da prima di stasera. Non so come suonino i suoi pezzi in francese, ma forse convincono di più che in italiano.
Annalisa dimostra ancora una volta che i talent show non premiano alcun talento, se non quello di una mediocrità canora disarmante.
Il brano di Nesli è semplicemente troppo insipido per poter destare un minimo interesse.
Il livello non si alza neppure laddove potrebbe. Alex Britti, ad esempio, rappresenta uno dei momenti più convincenti della serata, ma intendiamoci: la cosa bella della sua performance è vedere un musicista che suona uno strumento, sentire delle impressioni blues e rock partire dalla sua Les Paul Gold Top che ne confermano (anche solo in penombra) le doti di bluesman. Il pezzo invece è invece in sé poco convincente, il nostro ha senz'altro saputo fare di meglio.
Quanto a Nek, definito «rocker sanguigno e genuino» (qualcuno indichi agli autori dove sta di casa il rock, vi prego), il mood del suo brano è in effetti tra i più energici della serata anche se il rock, se si esclude il ritornello che strizza l'occhio al più commerciale degli indie di scuola britannica, non c'è.
Pare non sia lecito pote domandare di più per questa edizione. A Grazia Di Michele e Maurizio Coruzzi (meglio noto come Platinette) si sarebbe quanto meno potuto riconoscere il merito di aver offerto un testo e dei contenuti un po' più in là dei loro colleghi.
Tutti, ma veramente tutti, sono cascati nel tema dell'amore, con il loro brano dei due colleghi di Amici si sarebbe potuto tentare di andare oltre questo tema abusato fino allo sfinimento.
Peccato che l'introspezione proposta sia stata abbastanza banale e scontata, così come l'incapacità di incidere anche solo a livello di interpretazione.
Insomma, un'occasione persa per sentire qualcosa di veramente diverso.
Gli ospiti salvano in parte la serata. A Tiziano Ferro va concesso un fatto, piaccia o non piaccia: per cantare canta, di fatto annichilisce tutti per interpretazione e tecnica.
Il problema è il breve scambio con Conti dopo la performance, con un Ferro al limite della “demagogia del pop”: questa musica sarebbe fatta da persone semplici per persone semplici, nonostante le storture del mondo di cui – ovviamente – nessuno di questi "semplici" è minimamente responsabile.
Perfettamente in linea con l'interpretazione del Festival fornita da Conti.
Dopo 24 anni, tornano sul palco di Sanremo Romina Power e Albano. Sentivamo proprio la mancanza, sì.
Ora: la voce di Albano ha forse ancora qualcosa da dare, ma la loro presenza resta comunque ben lungi dal poter entusiasmare o coinvolgere un minimo qualcuno al di sotto dei quarant'anni. Ma il peggio, ancora una volta, viene a fine performance: Conti li invita prima a prendersi per mano e poi invoca il bacio.
È imbarazzante, ma il pubblico ci sta: alla gente piacciono le storie che vanno a finire bene e, dopo tutto, è il festival dei buoni sentimenti e dell'amore. Non lo vogliamo dare un bel bacio in pasto all'audience?
Finalmente nel finale giungono gli ospiti internazionali, gli Imagine Dragons. Con buona pace di chi – come Tiziano Ferro – ha lamentato che il Festival fosse tanto bisognoso di ospiti italiani e che fosse diventato troppo esterofilo nelle sue ultime edizioni.
Comunque sia la band dei record mantiene un profilo molto basso, forse troppo. Il loro grande successo Demons, che pure è orecchiabile, viene eseguita bene ma senza lasciare il segno.
Meglio l'anteprima della nuova I Bet My Life che, con le sue impressioni folk, risulta molto più interessante e vivace.
La votazione finale – 50% sala stampa e 50% televoto – dà come esito una classifica provvisoria dei primi dieci concorrenti in cui negli ultimi 4 posti “a rischio” figurano Alex Britti, Lara Fabian, Di Michele & Coruzzi e Grignani. Dispiace vedere subito nella zona rossa Alex Britti che forse, come detto, potrebbe dare di più, ma che è anche uno dei pochi che stasera si è stagliato un minimo su uno sfondo di banalità sentimentali e piattezza musicale.
C'è da credere che comunque questo non sia che l'inizio di questo Sanremo della «gente comune»: peggio può ancora andare.
doc. NEMO
@twitTagli
(Crediti foto: Corriere.it)