Quasi nove anni dopo è tutto così uguale e tutto così diverso. La sala d’attesa è irriconoscibile. Comode poltroncine verdi al posto di quelle terribili sedie marroni e un tavolino con le riviste. Il banco dell’accettazione è sicuramente tutta un’altra cosa. Dall’enorme vetrata sono state staccate le lettere adesive che formavano la frase “buongiorno, amore, raggio di sole” e questo, francamente, mi dispiace. Nella sala d’attesa del reparto di ematologia del 2005, che era proprio bruttina, quella scritta stonava al contrario, nel senso che era l’unica nota cristallina in una cacofonia di lamenti. Chissà perché non ho mai chiesto chi l’avesse messa lì. Non c’è nemmeno più la scrivania con su attaccato il foglio con la scritta “vietato sedersi” dove io mi sedevo sistematicamente ogni lunedì. Non so come siano l’infermeria e il day hospital. Non ho motivo di entrarci, ora gli ematologi hanno delle stanze degne di questo nome dall’altra parte del corridoio e onestamente non so se sarei in grado di tornarci. Non so se lo vorrei mai.
Quello che non è cambiato sono le persone. Non sono cambiati i dottori. Non sono cambiate le infermiere. So dire esattamente chi ha cambiato taglio di capelli e chi la montatura degli occhiali. I pazienti non sono certo gli stessi ma somigliano a quelli che ricordo. E io? Io sono il vecchio e il nuovo. Io sono il vecchio. Sono la ragazzina con corti capelli radi sul davanti e i tacchi alti che studia linguistica seduta sul tavolo. Io sono il nuovo. Sono la donna con le ballerine che tiene le mani di sua figlia per farla camminare lì davanti alla finestra, dove c’era il tavolo. E io riesco ancora a vederlo, in trasparenza, quel vecchio. E sorrido, con tristezza ma sorrido. Forse anche con tenerezza. Perché dei luoghi e degli odori ho ancora paura. Delle persone no.
E oggi ho cercato le persone. Le ho cercate per abbracciarle e per presentare loro Claudia. E le persone hanno cercato me. Perché lì ancora tutti si ricordano di me e mi sembra incredibile, visto che sono passati molti anni e loro hanno tantissimi, troppi pazienti. Ci sono stati tanti occhi lucidi. Tanti abbracci. E io ho mantenuto la mia promessa. Nel 2005 la mia ematologa mi estorse una promessa: portarle una foto dei miei figli quando (“se”, dicevo io) ne avrei avuti. Ho portato anche Claudia in carne e pannolino e l’ho presentata a tutti ma purtroppo la Dott.ssa A. non c’era. Le ho lasciato la foto e una lettera.
Ma voglio credere di averle portato anche altro. Dalle sue pareti cariche di foto di foto di bambini dei suoi pazienti io presi qualcosa: la speranza di una vita normale. Una vita al di là del cancro. Oggi spero di averle restituito, con la foto di Claudia, un pezzetto di quella speranza che ho preso anni fa, una speranza che ora io spero di lasciare ad altri, mentre io uscivo di lì pronta per un nuovo progetto, per andare ancora oltre…
P.S.:I controlli, al livello prettamente ematologico, sono perfetti. Resta il forte sospetto di un’autoimmunità su cui dovrò indagare assolutamente ma senza urgenza