Magazine Talenti
Tutto è così dolce ed amorevole, sono abbracciato dai fili d'erba, dai bianchi petali dei fiori cullato, da leggere mani accarezzato e da calde bocche baciato.
Mi muovo sopraffatto da una libido che mi fa tremare, lentamente, proprio come un lombrico nascosto tra l'erba, mi muovo e tremo d'assoluto piacere.
Poi un fischio mi fa alzare all'improvviso.
Barcollando mi affaccio alla finestra ma nella strada non vedo nessuno.
Cerco dappertutto con lo sguardo, mi sporgo, ma nulla.
Resto inebetito ad osservare alcune macchine parcheggiate a lisca di pesce due delle quali sono bianche una è nera, un'altra è verde e un'altra ancora è celeste. Guardo anche le finestre davanti a me, le persiane, i vasi senza fiori, alcune luci di Natale, lo spoglio tiglio alla fine della strada, le strisce pedonali che nessuno sta calpestando, i pomelli d'ottone del terzo portone alla mia sinistra e un cassonetto per l'immondizia che standosene lì immobile manifesta la sua abituale pigrizia.
Non si vede un'anima in tutta la via, un po' di nebbia cala lentamente dal cielo e penso che mi sono sbagliato.
Quel fischio è stata forse una mia illusione, il frutto della mia strana immaginazione.
Allora mi getto di schianto in quello che prima era un verde prato bagnato e adesso è un rosso deserto infuocato, un sole cocente m'abbronza il corpo che stranamente è già sudato, poi dal soffitto cade una strana bambagia d'un giallo fluorescente che m'avvolge il corpo e lo fa levitare orizzontalmente a mezz'aria anestetizzandolo completamente.
Sono incapace di sentirmi piedi e mani ed in aggiunta un bisbiglio incantatore mi porta in una strana, forse parallela, dimensione fino ad allora sconosciuta.
Vedo che dalla libreria alcuni libri sembrano cadere di schiena per poi aprirsi e con le loro ali prendere il volo verso Est, verso casa del Bonetti, verso il fiume, verso la Romania, verso la Cina, verso la stazione da dove oggi ho preso il treno per andare non mi ricordo bene dove.
Poi ecco ancora il fischio, chiaro, deciso, netto, s'infila nella stanza e nelle mie orecchie facendomi sobbalzare.
Cado improvvisamente sul pavimento che ora è un letto stracolmo di mandarini freddi ed arancioni, poi i mandarini aumentano continuamente e come un bambino in quei giochi del Luna Park nuoto verso la finestra e la apro.
La nebbia ha invaso tutto, non distinguo più il colore delle macchine, e non vedo più il tiglio, e non vedo più i pomelli d'ottone, e non vedo più nulla.
Cerco ma non trovo.
Allora inizio ad urlare ma non sento risposta, fischio pure io ma il tutto sembra essere ingoiato dalla nebbia.
Ululo e strillo, muovo le mani convulsamente per allontanare la nebbia e vedere se qualcosa o qualcuno sia sotto la mia finestra o più in là, ma non c'è un cazzo di nessuno.
Lascio la finestra aperta e vado verso il lavandino della cucina.
Tutto torna alla normalità, tutto è come dovrebbe essere.
In terra c'è il cotto ed i libri solo al loro posto, il frigorifero è proprio dov'era stamattina, l'albero adornato per il Natale ha le lucine con la loro solita intermittenza proprio come ieri e come l'altro ieri, sul soffitto non c'è nulla di particolare tranne qualche chiazza d'umido ingiallita.
Apro l'acqua del lavandino e ci metto sotto la testa, mi bagno le mani, il collo, bevo qualche sorso d'acqua marmata e sento che questa mi sta colando anche sulla schiena.
Una pentola se ne sta capovolta col culo rivolto all'iperuranio: è la pentola nella quale ho cotto la pasta.
Osservo la pentola dai manici sottili e vedo che questa osserva me, riflette la mia faccia allungandola un po' e smagrendola quasi facendola somigliare a quella dell'Urlo di Munch.
Sono comunque nitidi e riconoscibili i miei occhi che osservo e scruto curiosamente cercando di vedere qualcosa che fino ad allora non avevo veduto.
I miei occhi, marroni e senza particolari degni di nota, circondati da occhiaie, né belli né brutti, sono occhi di chi va cercando Dio dappertutto e che crede pure di sentirlo.
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