Ho un amico in Afghanistan. Lì fa il soldato. Parliamo, quando ci becchiamo su internet, del più e del meno. Dei ricordi dei tempi passati, di come vanno le cose oggi e di come vorremmo che andassero domani.
Naturalmente parliamo anche di altro. Di come va in quel terreno di guerra. E sì, perché i nostri soldati in Afghanistan rischiano quotidianamente la pelle. Lo so. Ma so altrettanto che non posso scrivere altro, perché è mio amico, perché rispetto le sue confidenze.
Potete immaginare che ogni qual volta da lì giungono terribili notizie come quella di oggi, il mio cuore sobbalza, finché non lo trovo nuovamente online.
Ed io sono “solo” un amico. Non oso immaginare la sofferenza di chi è madre, padre, moglie, figlio di un soldato italiano in Afghanistan. Non oso immaginare l’attesa di ricevere notizie, di sapere che tra quei morti, gli ennesimi, non c’è il proprio caro.
Al contempo, non oso immaginare il dolore di quei familiari che saranno avvertiti perché il loro marito, figlio, padre, non c’è più.
E la domanda è sempre la stessa: ne vale la pena?