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Ho visto un re, si chiama Giorgio e non va a cavallo
Creato il 19 luglio 2013 da Massimoconsorti @massimoconsortiCosìDario Fo per Ci ragiono e canto, così Enzo Jannacci per Vengo anch'io, non tu no! Così si cantava allora, nel 1968, per prendere in giro i potenti che non venivano mai definiti “ricchi” ma “re” e “vescovi” (prima di diventare “cardinali”). Per evitare che i potenti piangano, negli ultimi anni in Italia si sono compiute vere e proprie nefandezze. Diciamo che al novanta per cento, ci siamo dati una regolata per non far piangere i Papi (plurale di Papa), l'altro dieci per cento lo abbiamo riservato ai potenti e soprattutto alle loro grane giudiziarie da perseguitati cronici. Ma oggi, in piena estate 2013, dobbiamo stare buoni per non far piangere un re molto particolare, che re lo è davvero nonostante tutti lo chiamino 'Presidente'. Finite le lacrime dei Papi, visto che a Santa Marta ne risiede uno che invece di piangere s'incazza, sono rimaste quelle del Presidente della Repubblica al quale va, ora e sempre, il nostro vivo e vibrante ringraziamento per i sacrifici estremi che sta compiendo in nome dell'Italia o mia patria sì bella e perduta. Contrariamente a quanto accaduto ai suoi predecessori, Giorgio Napolitano è uno che prende decisamente in mano i destini del paese. E sempre in nome della “tenuta per evitare guai peggiori”, è costretto ad addentrarsi in compromessi che nulla hanno di storico ma molto di pragmatico. Così, dopo il discorso di ieri alla cerimonia del “Ventaglio”, ci chiediamo cosa ancora questa nazione tapina e parecchio derelitta, debba ancora sopportare in nome della “tenuta”. Pensavamo di aver toccato il fondo dopo le tre “B” (praticamente monnezza) di Standard&Poor's e invece si continua a sprofondare con LettaLetta che continua a dire ma non a fare. Il re ieri è stato chiaro: “Alfano non si tocca”. “I processi di Silvio non devono influire sulla compagine governativa”. “La deportazione di quella cazzo di kazaka (ci mancava pure lei), non cambia nulla”. “Agli insulti di Calderoli occorre mettere un freno”. E, rivolto direttamente a Matteo Renzi, senza citarlo, ha detto: “Chi spera che facendo cadere LettaLetta si torni a votare non ha capito una mazza. Decido io cosa si farà ma il ritorno alle urne mai”. Matteo ha ascoltato, compreso e si è rassegnato a restare ancora un po' a Palazzo Vecchio. Di fatto, questa è diventata una nazione presidenziale. Il presidente del consiglio conta come il due di coppe quando la briscola è bastoni perché alla fine, chi detta l'agenda (e le regole) è Giorgio, che in alcuni momenti ci sembra un Sisto V redivivo il giorno della sua elezione a Papa: “Mi avete voluto? E ora sono cazzi vostri”. L'Onu ci bacchetta sonoramente e Alfano resta al suo posto. Stucchevole, Guglielmo Epifani: “Un ministro del Pd si sarebbe già dimesso”, ma quando mai, segretario, quando mai! A meno di improvvidi giochi di correnti, un ministro del Pd non si sarebbe mai dimesso, loro sono gli zozzoni e qualcuno lo ha dimenticato in fretta. Ma sì, cantiamo.♪ E sempre allegri bisogna stare che il nostro piangere fa male al refa male al ricco e al cardinale
diventan tristi se noi piangiam! ♪
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