“We’ll crucify the insincere tonight
We’ll make things right, we’ll feel it all tonight”
(Tonight, tonight ∼ The Smashing Pumpkins)
Scrivere è un sogno che spezza le ossa anche se lo fa in silenzio. Nessuno sente niente oltre quella barriera fatta di non so che cosa. Forse di indifferenza. O peggio di prese in giro. Perché a scrivere ci vuole l’ispirazione, una cosa di farfalle, di prati in fiori. Ah, no! Niente ma niente di tutto questo nella maniera più assoluta. Scrivere non si può spiegare. E’ già una spiegazione in sé, quella che ti dai quando non capisci più dove stai andando. Scrivere è la stella della sera. Fissa e immobile come le cose importanti. Nella vita contano solo quelle, niente altro è capace di riportarci a galla così.
Mi aspettavo di più anche per il blog. Il terzo anno doveva essere per forza un anno speciale. Sono andata dovunque, ho raggiunto partenze e arrivi chissà come. Una volta non ero nemmeno sicura di riuscire a tornare a casa. Ed ero in Toscana. Ma la crescita è stata media e costante. Sempre più gente, sempre più like. Una fantastica community. Ma chiusa lì. I pezzi che scrivevo con più amore o per i quali avevo fatto più fatica erano ultimi nelle statistiche. La verità è che questo fa cadere le braccia, specialmente quando sei una trottola in balia dei chilometri.
Eppure, anche se questo non è stato l’anno della svolta, è riuscito lo stesso a far emergere un istinto di sopravvivenza che non credevo di avere. Può essere che dal buio non ci esci più, può essere che ti immagini una luce e la insegui. Cercare nuove strade, nuovi modi. Di scrivere ma anche di parlare alla gente. Ho scoperto che novembre può essere più di un piovoso mese a cavallo tra l’autunno e l’inverno. Che i colori alle cose li diamo noi. Ho scoperto che si può scrivere un romanzo in ventisei giorni, viverci dentro, sentire l’adrenalina di scavarsi nuovamente la strada a mani nude. Ho scoperto che c’è qualcosa di unico nei ricordi delle corse che ho vissuto quest’anno che va al di là di tutte le aspettative. Che ogni volta che parlo con un ciclista arrivo ancora un po’ più vicino al cuore di questo sport.
Che abbiamo ricevuto cose belle dalla vita lo scopriamo sempre dopo, a distanza di mesi oppure di anni. Perchè abbiamo bisogno di una visione più completa, più autentica. Alla fine va sempre così: quello che ci era sembrato un piccolo dettaglio risulta essere la chiave di volta. In un’altra vita sono stata di sicuro un pesce per quel legame profondo e ancestrale che sento con l’acqua, ma in questi giorni ho pensato che forse sono stata persino un pilota di Formula Uno. Per quella strana smania di accelerare e uscire di botto dalle curve a gomito a modo mio, pur di non perdere la corsa.
Non c’è niente che mi aspetti da questo anno. Non ho elementi per desiderare. Forse è giusto così. Fa parte di quello che ho imparato in questo anno. Ho creduto alla gente che mi diceva che avrebbe comprato Voci di Cicala e non l’ha mai fatto. Oppure l’ha comprato e dimenticato in un cassetto. Ho creduto che qualcuno mi volesse bene e non era vero, ho scambiato frasi di altri pensando fossero per me, ed è una cosa che mi succede spesso. Esco dal disincanto proprio come ci sono entrata. D’improvviso. Un po’ fa male, un po’ fa bene.
Non c’è niente che mi aspetti da questo anno.
Di una cosa sono sicura. Ho voglia di rivoluzione.
Hoka Hey, oltre a essere una canzone di Davide Van De Sfroos, era il grido di guerra di Cavallo Pazzo. Me lo tengo come motto da un po’ ma credo che sia anche un grande modo di cominciare l’anno anche se quello vero, per il blog, inizierà con la nuova stagione ciclistica.
Hoka Hey, è un buon giorno per fare qualcosa di nuovo che cambi, anche di poco, il corso della nostra vita. Hoka Hey, è sempre un buon giorno per tentare nuove strade, per ribaltare le carte in tavola. Hoka Hey, è sempre un buon giorno per salpare verso rotte che non avevamo immaginato. I marinai siamo noi. Se avremo coraggio, anche il vento soffierà nelle nostre vele.
Hoka Hey!