Sullo schermo Leos Carax si risveglia da un sonnellino che presumibilmente durava dal 1999, anno in cui girò l’ultimo lungometraggio Pola X [1], e con la sua mano (ad essere precisi con il suo dito) apre la porta invisibile che per tutto questo tempo lo aveva separato dal mondo esterno, e tornando nella (nostra) realtà scopre di come il cinema senza di lui sia diventato ninnananna per una platea dormiente. Ci vuole una scossa. Ci vuole Holy Motors (2012).
Il film presentato a Cannes ’12 è inoltre un portentoso concentrato categoriale che abbraccia un ventaglio di generi cinematografici incompatibili, ma solo sulla carta; la travirgolette fantascienza di Mauvais sang si trascrive contaminandosi con la nuova tecnologia giungendo perfino a modellare tramite motion capture una scena in computer grafica tremendamente kitsch ma per nulla stonata (né scontata); l’irruenza sentimentale de Les amants du Pont-Neuf è radunata nel cameo di Kylie Minogue che evidenzia un’altra sfaccettatura delle pellicola come la dimensione musicale presente in maniera proteiforme, dal cantato della pop star australiana e dalla nenia di Eva Mendes, al pianosequenza già indelebile delle fisarmoniche al brano che chiude e semantizza il film. Ma tornando alla coppia Carax-Lavant e al succitato apice concettuale ecco che in una singola scena si giunge all’intromissione del cineasta nel corpo di Lavant il quale recitando nei panni di un padre che va a prendere la figlioletta ad una festa (la vera figlia?) è agghindato esattamente come Carax è solito mostrarsi in pubblico, barbetta e borsalino.
Proprio il dialogo tra il padre/Oscar/Lavant e la bimba risulta centrale poiché Angèle affermando di aver ballato con alcuni ragazzi si sostituisce in realtà all’amica, colei che ha davvero ballato con i coetanei. Holy Motors è questo, un enorme, colossale, spropositato studio della menzogna che trova nel ruolo dell’Attore, colui che finge, che falsifica, la quintessenza dell’artificiosità; il recitare, di cui Lavant di fronte a Piccoli decanta la bellezza (situata nell’occhio dello spettatore, risponde il decano degli attori francesi), diventa l’illusione di poter vivere una vita vera fatta di tanti compartimenti stagni, tanti quante sono le identità di cui Oscar si appropria. La struttura che ne consegue si fa episodica, suddivisa in porzioni non sequenziali, ma che non accusa mai la gonfiezza del ripetersi o dell’interrompersi, Carax irrorando di eccentricità le due ore di girato non fa conoscere al film alcuna pesantezza e per merito del suo talento l’originalità diventa la dote, fra le molteplici altre doti, migliore del prodotto. Al cospetto di una manifestazione artistica così poderosa anche le fiacche congetture interpretative sminuiscono d’importanza, l’apertura del personaggio-Oscar è talmente ampia da poter essere oggetto di numerosi scrutini, tutti inessenziali (al sottoscritto è perfino saltato alla mente il Lanthimos di Alps, 2011), perché qualunque tentativo di rintracciare una ricerca socio-umana, qualunque avvistamento di denuncia, qualunque sforzo di significazione (compreso quello soprastante sulla menzogna), si sbriciolano al cospetto dell’unico ed inconfutabile nonché definitivo Senso: il Cinema, quello del più talentuoso dei registi europei a cui gli anni di inattività non hanno fatto che bene, Holy Motors si divora gran parte del cinema contemporaneo perché è cinema libero, frutto di un pensiero anarchico, che sovverte, esondando fuori dai modelli incartapecoriti.
In ogni caso le chiacchiere non restituiscono la straordinarietà di un film del genere, che è grande per una quantità di aspetti che vanno dal macro (ok la regia, la trama, la recitazione) al micro con dettagli arricchenti che tangono la genialità (quando Lavant-Merde giunge al cimitero su una tomba leggiamo “visitez mon site – vogan.fr”, ebbene il sito esiste davvero e lascio a voi la sorpresa di scoprire di che tratta) e che aggiungono valore ad un film che già di per sé ha un merito incommensurabile, quello di non avere precedenti. Holy Motors è un’opera unica, un film-monstre che inietta l’essenza della modernità nella settima arte rendendola un prisma rilucente; andiamo fieri d’essere testimoni di tale apparizione filmica, svegliamoci!, non è un miraggio, è una realtà da amare smisuratamente che può sintetizzarsi in una sola parola: è Carax. E basta._______[1] Nel film recitò Yekaterina Golubeva, compagna di Carax e di Sharunas Bartas, a cui Holy Motors è dedicato.