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Ed. Universal
Ci sono film che non hanno bisogno di presentazioni perché i loro titoli, da soli, sono evocativi di un immaginario che non si ferma a quello degli autori che li hanno realizzati ma si spingono più in là, riuscendo a contenere umori e tendenze di un'intera epoca. Se poi si tratta di “Duel” il primo film di Steven Spielberg, quello che nel 1971 lo fece conoscere al pubblico mondiale e, che, in un primo momento, era destinato a fare mostra di se nei palinsesti televisivi nazionali, allora le caratteristiche di cui abbiamo detto trascolorano in una mitologia cinematografica che l’Universal fa sua nella smagliante nitidezza delle immagini blu ray di un'edizione home video, in grado di restituire come meglio non si potrebbe la dimensione epica di questo film. Che, nonostante il tempo trascorso dalla sua prima uscita, riesce a mantenere inalterata le proprie capacità di coinvolgimento, catapultando lo spettatore all'interno di un road movie anomalo, che richiama paesaggi e archetipi del cinema western - pensiamo a Howard Hawke eJohn Ford, citati da Spielberg nell'inserto di commento che costituisce uno degli extra allegati al film- e utilizza la lezione di Alfred Hitchcock, sia quando si tratta di derivare la suspence dalla decisione di fare a meno dei normali punti di riferimento (per esempio la faccia del camionista assassino, celata allo spettatore) sia quando si tratta di far scaturire la paura partendo da situazioni di assoluta normalita, e da circostanze -come quella del diverbio stradale tra il commesso viaggiatore, interpretato dalla star televisiva Dennis Weaver, e il conduttore dell'autocisterna che non lo lascia passare - che sembrano interlocutorie, e che invece, nelle mani del regista, diventano la premessa di un viaggio negli abissi della follia umana.
Se oggi le grandezza di Spielberg è un fatto che nessuno si sognerebbe di mettere in discussione, talmente tante sono state le prove della sua maestria, a maggior ragione vale la pena di tornare agli inizi della sua carriera e di dare un'occhiata al germe di quel talento, riscontrandolo nel connubbio tra un senso dello spettacolo fuori dalla norma, e che di li a poco sarebbe servito alla messa a punto di nuove forme cinematografiche (il blockbuster nasce infatti con "Lo squalo", di cui "Duel" è un sorta di prova generale ) e le capacità di una tecnica individuale davvero sopraffina, come si evince dal largo uso di campi lunghi e di inquadrature anomale che in molti casi risentono dell'influenza degli autori della nouvelle vague;
per non dire dell'assoluto controllo del set e della mdp, determinanti per un film come "Duel", girato completamente in esterni e in soli tredici giorni.
Se in Europa la pellicola fu apprezzata soprattutto in chiave metaforica, per i rimandi della storia al clima claustrofobico e malato prodotto dalla guerra del Vietnam e dell'assassinio dei fratelli Kennedy, "Duel" è innanzitutto un film a orologeria, mosso dalla volontà di catalizzare l'attenzione dello spettatore in un saliscendi di emozione e di frenesia che lascia senza fiato. Da vedere e rivedere.
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