Non vi avevamo promesso niente e infatti siamo ancora qua con la nostra rubrichetta sfacciata, quasi controproducente perché nessuno in sostanza ci chiede di farlo, ma tant’è: ognuno ha il suo viatico al malessere cittadino, alle indolenze quotidiane.
Rivendichiamo il valore (nel caso ne rimanesse qualcuno) del lavoro svolto da tutte queste piccole etichette che, lasciando da parte fronzoli e velleità di sorta, si adoperano per lasciare una traccia quasi indelebile (sia fisicamente, sia metaforicamente) sui nostri mangianastri. I loro sono oggetti che vanno preservati con cura, infischiamocene se ora come ora avere una custodia di plasticaccia rotta deturpa la nostra collezione, perché, se un giorno qualcuno brucerà queste cassette come in un nuovo “Fahrenheit 451″, sarà stato sempre meglio che veder eliminare tutti questi “data” da un solo click.
Sì: “Potremmo condurre la più bella vita, la vita più beata, se non fossimo dei pazzi”.
NINA, No Observable Effect Concentration (Krokodilo Tapes, 2014)
Krokodilo Tapes è un piccolo ma florido pianeta che ruota nell’universo della Blackest Ever Black, fucina britannica che continua a far emergere prodotti eccellenti da banchi di fumo denso e tossico. Una serie di nomi più e meno noti del panorama underground – stiamo letteralmente parlando dei bassifondi più attivi di molti club europei – come Helena Hauff e Brian Not Brian hanno scelto il nostro formato preferito per creare delle chicche a tiratura limitata e irrimediabilmente sold out in troppo poco tempo. Se le cassette con un’unica traccia sono quasi sempre un boccone che incuriosisce e mette all’erta il palato, Nina – dal Golden Pudel Club di Amburgo – impiatta una mixtape davvero gustosa. Una cinquantina di minuti di noise quasi impalpabile, giochi sonori leggeri e costanti, un lunghissimo viaggio in una vecchia metropolitana. Voci lontane sparpagliate nel vagone sgangherato risuonano nello sferragliare continuo della carcassa su rotaie. Qualcuno improvvisamente tira fuori il discorso sull’Undici Settembre, e fa scattare dal sonno qualche ricordo techno che a tratti affiora in superficie e sprofonda nel nulla. Verso la fine, il vuoto e gli ultimi clangori del treno risvegliano dal coma. Si esce dalla galleria, ma dentro rimane l’eco. Molte pause, molto silenzio da cui i rumori emergono miopi e indistinti, ma solo perché la nostra messa a fuoco è annebbiata dal sonno. Da riascoltare supini più e più volte. (Giulia A. Romanelli)
TREPANERINGSRITUALEN & SUTEKH HEXEN, One Hundred Year Storm (Cloister Recordings/Pesanta, 2014)
Si raccontano strane leggende sullo Stella Natura Festival di quest’anno. Si dice che sia avvenuto un incontro infausto, uno di quegli avvenimenti che si verificano solo quando i pianeti si allineano in un certo modo. Kevin Gan Yuen e Thomas Martin Ekelund si conoscono già. A nome Ogham hanno pubblicato su Merz, ma su questa cassetta per il duumvirato Cloister Rec/Pesanta il rituale – come ci ricorda la “satanologa” Patricia Cram nelle note introduttive, “the sky grew perilous, knifed to its wet center” – qua si fa davvero spietato. Le sonorità black/ambient/industrial compendiano tutto ciò che di malevolo negli anni questi due hanno coltivato, ma reso in modo più “scheletrico” anche se non per questo senza vita. Quello di One Hundred Year Storm sarà un corpo che si forma man mano nell’ascolto, dalle ossa della chitarra di Gan Yuen e dalla carne lacera di Ekelund. Trepanning avvenuto con successo. (Tommaso Gorelli)
A HAPPY DEATH / AUTOCANCRENA / CASSANDRA / IRS / NEGATIVESELF, Aktion No 1 (Angst Records, Scorze Records, Suicide Autopoduzioni, 2014)
Aktion No 1 contiene la testimonianza live lasciata da un collettivo aperto, nonché l’unione e la saldatura delle varie anime che si celano dietro le tre label coinvolte e i vari progetti collegati, in questa occasione rappresentati da A Happy Death, Autocancrena, Cassandra, Irs e Negativeself. Avevamo avuto occasione di ricevere un primo assaggio di questa collaborazione presso il Glue-Lab di Ancona durante il mini-festival Roma Soffre e ritroviamo all’interno di questa tape il risultato della sua esibizione al Dal Verme, all’interno del festival Roma La Drona. L’approccio a cavallo tra impro, noise e drone lascia scattare una foto viva e pulsante della sintonia che unisce gli attori di questa prima “Aktion”, ciascuno con il suo stile ben definito e la sua differente impostazione nel manipolare, dissezionare e distorcere la materia sonora. Ciò che ne esce è il clangore di una battaglia tra sperimentatori, senza regole imposte o modalità precostituite, perché ciò che si respira è proprio la voglia di scardinare le rigide barriere tra i linguaggi prescelti dai singoli al fine di ottenere un suono stratificato, con ogni interprete che aggiunge il proprio tocco personale, la sua firma in calce a un mosaico capace di colpire e catturare l’attenzione proprio per la sua indole dinamica e cangiante. Certo, l’opportunità di vedere il tutto prendere vita davanti ai propri occhi avrebbe aumentato l’efficacia della situazione e ne avrebbe amplificato l’effetto, ma anche qui è possibile comprendere come non si tratti solo di un caos in libera uscita, bensì di una vera e propria struttura tenuta insieme dalla sintonia e dall’amicizia, nonché dall’unità di intenti dei coinvolti. A dirla in modo sintetico: un manifesto programmatico di una micro-scena in crescita e continua evoluzione. (Michele Giorgi)
DENMOTHER, Moon (I Had An Accident, 2013)
C’è poco da fare, ci sono artiste alle quali ci si affeziona, perché brave e perché hanno un viso assai dolce e carino. Come si dice in questi casi: anche l’occhio vuole la sua parte. Dopo l’ottimo Insides Out la canadese DenMother aggiunge quest’altro piccolo smeraldo, proseguendo perseverante il proprio progetto artistico/musicale attraverso la collaudata formula composta dal binomio etereo/sognante e sintetico, e sempre per l’americana I Had An Accident. Ogni lato della cassetta di Moon – limitata a sole 24 copie – è associato alle due facce distinte della luna: nuova e piena. Al suo interno troviamo tracce al miele e zucchero filato come “Rain”, una tetra filastrocca come “Elephants Never Forget” e gli altalenanti chiaroscuri darkwave di “Night Fell On Us”. Moon è un appuntamento al buio. Adattissima per amoreggiamenti notturni al chiaro di luna in una ventilata giornata estiva? Già, è proprio così, o almeno questa è la sensazione. “You Will Never” frantuma gli imbarazzi e incominciano i primi sguardi. “Gold” e “It’s You” – due pezzi supportati da beat intensi e sensuali – completano, infine, l’avvolgente amplesso amoroso. Voluta o no, forse sarà solo una coincidenza, ma ogni singola copia è provvista di uno sfavillante preservativo color rosso fuoco: a buon intenditor poche parole. (Massimiliano Mercurio)
DAO DE NOIZE/SINDRE BJERGA, Split (Suicide Autoproduzioni, 2014)
Split che vede in azione il progetto ucraino Dao De Noize e quello norvegese Sindre Bjerga (Jabber Garland, Sincope Rec, 2014), il primo artefice di una proposta minimale a cavallo tra noise e ambient che si insinua sotto pelle grazie a un andamento ritmico dei rumori e delle interferenze, pulsante nella sua ciclicità e nel suo scandire il passare del tempo. L’insieme è straniante al punto giusto e offre all’ascoltatore un’esperienza particolare anche grazie ad alcune fugaci linee melodiche apparentemente fuori contesto che filtrano sottotraccia. Sindre Bjerga sul lato B gioca con nastri e field-recording per una traccia live meno immediata (se mai un simile termine abbia un senso su questi lidi) in cui i rumori di fondo si incastrano e interagiscono senza soluzione di continuità, a costruire un percorso cangiante e mai uguale a se stesso, in qualche modo più difficile da interpretare proprio per la completa assenza di pulsazioni o reiterazioni. Due visioni diametralmente opposte legate dalla comune passione per la sperimentazione sonora e per la creazione di percorsi musicali distanti dall’usuale, seppure visti da prospettive differenti. Di certo l’approccio dell’ucraino risulta fruibile anche in assenza di coordinate che ne illustrino il percorso, mentre quello del norvegese necessita di una maggiore predisposizione al mettersi in gioco e all’abbandonare qualsiasi punto di riferimento per tuffarsi in un lungo viaggio che alla fine intriga proprio per la sua peculiarità. (Michele Giorgi)
VENTA PROTESIX, Erotic Dreams Of A Young Slut With An Amputated Leg (Hatets Dok, 2014)
Lo so, ho capito, ti stai chiedendo che posizione si sceglie quando ti scopi una che ha la gamba ingessata fino all’inguine.
This Must Be The Place
In effetti, nello stesso film di Sorrentino Sean Penn apostrofa Napoli come una città pericolosa… e ha ragione, perché qua la ragazza di Venta Protesix la gamba non ce l’ha proprio. Italo Belladonna, insomma, lo ha fatto di nuovo (anche se in realtà questa cassetta per la svedese Hatets Dok è una ristampa di un lavoro di tre anni fa): tirare fuori il peggio dagli avanzi di tutte quelle sottoculture urbane giapponesi come se da un limone (tanto il colore è quello) spremuto uscisse sangue anziché del succo. Harsh-noise diretto, meno edulcorato rispetto ai tanti Merzbow in circolazione, anche perché qui la differenza maggiore la fa la strumentazione. L’inorganico laptop di Italo ha un uso quasi concettuale, è il suo medium, la sua finestra e il suo modo per connettersi a un mondo grottesco e contorto. “I Send You The Picture Of My Tits On Your Email Address Only If You’ll Show Me How You Masturbate On Webcam After” è tutto quello di cui avete bisogno per capire cosa sto dicendo, come se i cavi, anziché al pc, fossero attaccati direttamente a delle ovaie che traboccano di estrogeni o a della materia grigia rancida. (Tommaso Gorelli)
OSSKULL, To Noisetherion (A Dear Girl Called Wendy, 2012)
Giovanni Terragrossa ha alle spalle un bel malloppo di lavoro in campo noise, che talvolta affonda nelle vischiosità di influenze grindcore del passato. I pezzi presentati con l’alias Osskull, anche quelli che si trovano in questa doppia cassetta per la nostra A Dear Girl Called Wendy, non si distaccano con uno slancio esagerato dai precedenti. Più metalliche ed elettroniche, le tracce viaggiano dentro una schizofrenia frammentaria dove le schegge sonore vagano pericolose e indisturbate. Il vaso è tenuto insieme dalla colla di un harsh-noise di ottima qualità, strutturato e “tradizionale” nel senso migliore del termine, non a caso i pezzi centrali, “Bouncing On Vinyl” 1 e 2, raccontano e reinterpretano al meglio questi vecchi costumi. Quando le basi sono ben salde e i piedi piantati a terra grazie all’esperienza maturata, ci si può permettere di giocare e delirare con rumori più accessori, tra tutte “Monster Liquid”, scoppiettante di videogames anni Ottanta, e “Kannon”, variabilissima e in continua trasformazione. “To Noisetherion” chiude le danze: qualche picco di acidità su di un brulicare diffuso in sottofondo che pare fin troppo disteso, ma che alla fine vi farà rimanere con la merda ancora attaccata al culo. Tetsuo è vivo e trapana assieme a noi. (Giulia A. Romanelli)
KULL, S/t (Autoprodotto, 2012)
Un nuovo piccolo gioiello britannico sta per nascere? Sembrerebbe proprio essere così. I permessi sono firmati e le carte in regola ci sono tutte. Si chiamano Martina Elderton e Lisa Protsenko, vivono a Londra e sul finire del 2012 pubblicano da sole questo loro esordio, contenente per lo più registrazioni dal vivo. Il suono qui si può definire – come fanno loro stesse – l’incontro tra oscure geometrie ethereal, vibranti sottofondi drone e occulta psichedelia. Il tutto è impreziosito con basi malsane e alienanti di chitarre e basso, nonché voci spettrali. Lo scenario che si può immaginare è (appunto) la Londra vittoriana di fine Ottocento, quella del 1888, quella di Jack lo squartatore per intenderci, fatta di fognature maleodoranti e vecchi lampioni a olio lungo una strada semibuia e nebbiosa. Il cantato ricorda moltissimo certe sfumature di marciume tipiche di PJ Harvey, che si alternano ad alcune atmosfere cariche di dolcezza, ma si distinguono altresì quelle caratteristiche tanto care al piccolo e glaciale elfo islandese che risponde al nome di Björk, ovverosia: sensualità, perversione e inquietudine. Davvero un esordio interessante, un duo assolutamente da seguire, come del resto ha fatto l’etichetta inglese Reverb Worship – da sempre vicina agli artisti emergenti – pubblicando nel 2013 il primo ep ufficiale, comprensivo di nuovi brani ma purtroppo in un formato non prediletto da questa rubrica. (Massimiliano Mercurio)
IRS, 020.0 (Suicide Autoproduzioni, 2014)
Eravamo curiosi di ascoltare l’evoluzione del progetto Irs (I Rumori Sovversivi), visto qualche tempo fa dal vivo e sempre più diario di un cammino che prende forma attraverso l’utilizzo di differenti fonti sonore, siano esse nastri, walkman, microfoni o altri strumenti di riproduzione de-contestualizzati dal loro uso comune e quotidiano. Il viaggio a “bassa fedeltà” comincia sul lato A con “020.0”, traccia che si avvale di diversi approcci e linguaggi, nel corso della quale la sovrapposizione di sample, feedback, percussioni e disturbi va a interagire con la manipolazione dei volumi, così da dar vita a un crescendo di grande impatto. Il lato B è affidato ad “ltr”, più sinuosa e a tratti soffusa, ma non per questo meno incisiva, proprio perché l’attenzione viene sempre mantenuta viva dal feedback che colpisce insistentemente i timpani (quasi uno stridere continuo che percorre gran parte della traccia) e dai molti elementi/disturbi che si vanno a incuneare sulla spina dorsale del pezzo. Si potrebbe parlare di due differenti anime o facce della stessa sensibilità, o meglio di un’interessante opportunità per osservare i vari modi in cui la scrittura del progetto Irs prende forma. La curiosità iniziale, insomma, è stata premiata e le aspettative non sono andate deluse, anche se l’impressione è che questa realtà non abbia ancora finito di palesarsi del tutto e ci si debba aspettare ulteriori sviluppi di un suono sempre più riconoscibile. Da sottolineare la busta di carta anonima che racchiude la cassetta e le illustrazioni che danno all’insieme un’aria da stralcio di vita vissuta. (Michele Giorgi)
CHUBBY WOLF, The Lows; The Sows (Northern Twilights Wooks, 2013)
A soli 26 anni, nel 2009, prima che un arresto cardiaco ce la portasse via per sempre, Danielle Baquet-Long alias Chubby Wolf era partner, sia nella vita privata sia in quell’artistica, di William Long, col quale formava i Celer. Chubby Wolf fu dunque il solo-project di Danielle, sostanzialmente non troppo lontano da Celer, ovverosia l’assemblaggio giusto fra un drone-ambient glaciale e affascinanti field-recordings.
The Lows; The Sows esce in 50 copie per la Northern Twilights Wooks, una piccola etichetta irlandese che però ora pare essersi fermata. Attraverso la sua potente aura di solennità, può essere visto come un elogio rivolto ai quattro elementi, in particolar modo acqua e aria. Ci ricorda che quella semplice formula molecolare composta di due atomi d’idrogeno ed uno d’ossigeno è sempre in continuo movimento, riciclandosi all’infinito, mantenendo sempre in vita questo nostro povero pianeta. Quei soffici e raffinati rumorini di percorsi d’acqua sono ovviamente la simbologia liquida, quella trasparente e priva d’impurità; i gioiosi canti d’uccellini, invece, quella solida e volatile. Entrambi gli effetti sonori servono da completamento per questa religiosa suite ambient, rendendola alla fin fine né statica né monotona. Non una delle sue opere migliori, ma un’ottima occasione per ricordarla: ciao Danielle. (Massimiliano Mercurio)
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