Gli Hooded Menace hanno più senso se considerati un divertissement tarantiniano che se presi sul serio. Non hanno una personalità particolarmente spiccata o una precisa identità stilistica; si limitano a rendere tributo senza troppe pretese alle loro influenze: dai primi My Dying Bride ai Winter, dal death scandinavo alle colonne sonore dei film di Argento e Fulci (nei dischi passati hanno ripreso i temi di Tenebre e Manhattan Baby). Il giochino finisce per funzionare un minimo proprio perché i finlandesi danno l’idea dell’amico ancora più fissato di te che trascorre le sue giornate abbracciato a una bottiglia di vodka tra vecchi vinili della Wild Rags e poster di horror di serie B e a cena si esibisce in una lectio magistralis alcolica di due ore sul primo ep dei Disembowelment.
Il terzo full Effigies Of Evil, pubblicato tre anni fa dalla Relapse, era stato il loro lavoro meno riuscito, nel suo tentativo di elaborare una formula più commerciale e accessibile. La produzione troppo pulita e l’eccessivo ricorso a melodie mutuate dal death svedese avevano finito per sottolineare quelli che restano i principali difetti degli Hooded Menace: la tendenza, alla lunga, a risultare dispersivi e la mancanza di quel quid di visceralità e sporcizia che in questo campo fa la differenza. Può darsi che se ne siano resi conto loro per primi, dato che Darkness Drips Forth cambia totalmente le carte in tavola con quattro marce funebri da dieci minuti l’una che virano bruscamente sul gothic/doom, pur mantenendo un eclettismo citazionista vagamente paraculo come filosofia di vita. Da una parte è vero che questa è più o meno la roba che va di moda in questo momento, dall’altra gli Hooded Menace sono riusciti a uscire dal vicolo cieco nel quale si erano infilati con Effigies Of Evil, sviluppando un maggior senso dell’atmosfera e aggiungendo nuovi ingredienti al calderone. Emblematica Elysium of dripping death, forse il brano migliore, dove si concedono uno stacco alla Katatonia per poi accasciarsi su accordi dilatati e gelidi memori dei connazionali Unholy. Del resto, se l’impostazione di fondo è nostalgica, riabbracciare il revival novantiano senza smettere di strizzare l’occhio al presente è la scelta più sensata. Se già li apprezzavate, Darkness Drips Forth potrebbe pure piacervi moltissimo. Per me gli Hooded Menace restano poco più di un rilassante cazzeggio per prendersi una pausa da ascolti più impegnativi. Il loro limite maggiore è sempre lo stesso: non prendono alle budella come dovrebbero. E, quando si suona ‘sto genere, al quarto disco diventa un problema. (Ciccio Russo)