Articolo pubblicato nella Webzine Sul Romanzo n. 3/2013, Le tentazioni della cultura.
La vagina è la porta che conduce all’utero. Nella fantasia misogina dei padri della Chiesa, esso è sinonimo di un mondo claustrofobico, da incubo che rimanda, secondo la teoria di Grof, alla seconda matrice perinatale: «Precipitazione nel cosmo e impossibilità di uscita». Attiene alle esperienze che hanno inizio con le contrazioni uterine prima che la cervice dell’utero si apra. Avvengono cambiamenti chimici sfavorevoli che creano sofferenza e minaccia mortale. Il campo visivo è buio e sinistro, foriero di torture fisiche ed emotive. L’utero propone, così, un mondo disumanizzato, animato dal mostruoso e dal grottesco. La sofferenza fisica ed emotiva trova la sua massima espressione nella rappresentazione dell’inferno e del mondo sotterraneo oppressivo, con una natura degradata, contaminata e pericolosa. Ci sono ambienti lilithiani, paludi, corsi d’acqua maleodoranti, alberi diabolici carichi di velenosi frutti, regioni ghiacciate o infuocate, fiumi di sangue. Demoni armati di forconi, lance e pugnali torturano. Si può essere bolliti in un calderone, stritolati, gelati in luoghi incredibilmente freddi. Le emozioni sono negative: paura, sensazione di caos, disperazione, colpevolezza. Figure archetipiche colme di sarcastico voracismo simboleggiano la dannazione eterna e i tormenti di Sisifo ed Issione. L’utero da sempre dunque è un membro famelico, dotato di vita autonoma, indomabile, emotivo, irrazionale, sinistro, «un’Africa fecondissima di mille mostri, tanto diversi dall’umana natura quanto i serpenti, gli elefanti, i leoni e simili sono diversi dagli uomini».
In poche parole, una fucina di mostri, sottoposta agli influssi della notturna Trivia, infernaccio ov’entra ed esce il diavol maladetto. Nell’oscura e putrida umidità uterina si aggirano “cose” deformi, animali abnormi, «portenti strabocchevoli».
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