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House of Cards Stagione 2 (aka "La storia di Matteo Renzi")
Creato il 07 aprile 2014 da Sommobuta @sommobutaE non è nemmeno un articolo, ma una sorta di parere sconclusionato che in pochissimi capiranno.
Non ne faccio molti, ma è giusto che voi sappiate che vi spoilero il finale della seconda stagione di House of Cards per snocciolare il discorso.
Vi ho avvisato.
Dopo aver concluso la seconda stagione di House of Cards ho avuto questo primo flash: gli sceneggiatori della serie, in puro stile Boris, sono rinchiusi a casa loro perché non sanno dove andare a parare con la storia di Frank. Poi hanno la proverbiale epifania: «Andiamo su internet e scopiazziamo!»
E si trovano davanti la situazione politica italiana.
Che è molto divertente. Ed è molto stimolante.
E per questo, la scopiazzano.
Gli scemeggiatori!
Quando Frank giura in qualità di Vicepresidente, ci regala una perla: “Non ho ricevuto nessun voto e sono a un passo dalla presidenza. La democrazia è così sopravvalutata.»
Il bello è che quel passo lo farà, e alla fine della serie, Frank, senza aver ricevuto un singolo voto, diventerà il nuovo presidente degli Stati Uniti d’America.
Per riuscirci ha dovuto tirar fuori una faccia di bronzo e buggerare tutti.
Ha preso in giro una nazione;
Ha preso in giro i suoi colleghi di partito;
Ha preso in giro i suoi avversari;
Ha preso in giro il Presidente.
Ecco, alla fine di House of Cards 2 ho avuto anche il secondo flash: non stavo vedendo la storia di Francis Underwood, che da Mastino dei Democratici, machiavellicamente, diventa prima vicepresidente e poi presidente degli Stati Uniti d’America senza ricevere un singolo voto (se non quello dello stato di cui fa parte quand’è stato eletto alla Camera).
No.
Stavo rivedendo la storia di Matteo Renzi, uno che machiavellicamente, da sindaco di una città, è divenuto prima leader del centrosinistra e poi Presidente del Consiglio dei Ministri senza ricevere un singolo voto (se non quello dei cittadini che l’avevano eletto sindaco).
Mr. President!
Insomma, è una faccenda inquietante.
House of Cards è fiction (in larga parte, quantunque sia un tipo di fiction miscelata – giocoforza – a fatti e fattori reali). Ma la politica mostrata è realpolitik, dove conta l’apparenza del politico di turno, che non può mostrare che la maggior parte degli accordi che decidono le sorti della politica stessa si giocano dietro le quinte, sotto i tavoli e alle spalle degli altri.
Frank Underwood, che gioca con i suoi parlamentari, fa l’amicone con gli avversari, si mostra come miglior amico del presidente, salvo poi unire i suoi parlamentari e gli avversari contro il suo stesso presidente (per votare l’impeachment), affermando che è venuto il tempo in cui bisogna lasciare spazio agli odi personali, aprire alle larghe intese e dare stabilità al paese è proprio Matteo Renzi.
Paro paro.
Giuro, per un attimo ho pensato che anche Frank si mettesse su internet e lanciasse l’hastag #mrpresidentstayquiet.
I presupposti c’erano davvero tutti.
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