HUGO CABRET di Martin Scorsese (2011)
TRAMA: Novello Oliver Twist versione francese, il piccolo e geniale Hugo vive alla stazione di Montparnasse di Parigi, sognando di riattivare l’automa che il padre aveva trovato in un museo e che voleva riaggiustare. L’incontro con una bambina ma soprattutto l’incontro con il padrino di quest’ultima, daranno una nuova piega alla vita di Hugo e, soprattutto, daranno una nuova luce alla storia del cinema…
“Il cinema è un’invenzione senza futuro”
(Antoine Lumière, padre dei fratelli Lumière)
Hugo ama suo padre. Suo padre ama un vecchio automa rotto. Il vecchio automa rotto ama il genio del suo creatore, un ormai altrettanto vecchio cineasta che ha smesso di credere in se stesso. “Hugo Cabret” infatti parla di tutto questo: di cinema, di invenzioni, di padri. Tutti amano qualcuno o qualcosa che hanno perduto. E amando, soffrono. Soffrono senza guarire. Allora, come tutti sanno, se l’amore persiste bisogna consultare il medico. E il medico in questione in questo grande film di Scorsese è proprio il piccolo Hugo, che sa aggiustare le cose e le persone. Ma prima di mettersi ad esercitare deve però aggiustare se stesso. E così inizia la ricerca del rimedio. Che lo porterà all’incontro con una bambina curiosa che a sua volta gli farà conoscere il più curioso degli uomini. E la magia finalmente si compie. Il Tempo, come un orologio il cui meccanismo credevamo per sempre inceppato, riprende a funzionare e a rendere speciali non solo le ore ma anche i singoli secondi. Come i 24 che compongono la durata di un fotogramma. Una volta restituito il Pinocchio di ferro al suo Geppetto, sul tondo e lunare viso di Hugo può disegnarsi un sorriso. Perché ha capito che a volte non bisogna credere a quello che ci dicono i padri ma, piuttosto, bisogna dire loro di credere. Ancora e ancora. Fino all’ultimo respiro.