Voglia Dio concedere a noi piloti, una morte tanto lieve e bella*
Quando correva in Formula 1 era soprannominato The Bear, l'orso, a indicare una discreta ritrosia a rilasciare dichiarazioni e a rendersi personaggio piacevole per la carta stampata. E si sa che se ti macchi di questa colpa o di gare ne vinci davvero tante o sei destinato all'oblio. Eppure motivi per ricordarsi di Denis Hulme ce ne sarebbero, a cominciare da quel Mondiale del 1967 strappato per pochi punti al caposquadra nonché titolare della sua scuderia.
Una storia che ha inizio in qualche imprecisato garage neozelandese, dove il giovane Denny riesce a metter da parte un po' di soldi che gli consentano di partecipare a gare locali. Nel mondo downunder l'attenzione per gli sport motoristici è più alta di quanto ci si possa aspettare, c'è addirittura un programma che fornisce ai piloti più promettenti una specie di borsa di studio per l'Europa. Hulme non si fa sfuggire l'occasione e così agli inizi degli anni sessanta, già ventiquattrenne, sbarca in Europa e ricomincia da capo. L'iter è lo stesso: dapprima meccanico lì dove si preparano le vetture della scuderia dell'australiano Jack Brabham, poi pilota di Formula 2 per Ken Tyrrell. Alcune sue ottime prestazioni convincono il suo ex datore di lavoro a dargli in mano un volante e non solo una chiave inglese. L'esordio in Formula 1 arriva a Monaco nel 1965, i primi podi l'anno dopo mentre patron Jack porta a casa il suo terzo iride al volante di una vettura che non solo porta il suo nome, ma monta anche un motore, il Repco, nella cui ideazione c'è lo zampino dell'australiano.
Il 1967 è l'ultimo anno di una Formula 1 che sta cambiando: il Ford Cosworth V8 debutta sulla Lotus, ma il motore è ancor giovane. Quando regge non ce n'è per nessuno e il grande Jim Clark si porta a casa quattro vittorie, ma per il Mondiale ci vuole altro. La vettura più affidabile è ancora la Brabham-Repco, anche se Denis Hulme non ci sta più a fare lo scudiero. A dire il vero il neozelandese balza in testa dopo il Gran Premio di Monaco, il giorno in cui la Formula 1 piange la morte di Lorenzo Bandini e lui invece trova la prima vittoria mondiale. Jack Brabham insegue per tutta la stagione il suo ex meccanico e vince in due occasioni. Denis vince al Ring, ottiene molti piazzamenti e un terzo posto nell'ultima gara a Città del Messico gli basta per fregiarsi del titolo mondiale 1967 e per guadagnarsi il licenziamento.
La cosa bella è che Hulme non si scompone, cambia scuderia e persevera nell'andar più forte del suo datore di lavoro, che questa volta è neozelandese come lui e si chiama Bruce McLaren. Questo non gli vale, per fortuna, un nuovo licenziamento, anzi... Nel 1968 Hulme con la McLaren M8 a ruote coperte vince sei gare e titolo piloti del Campionato Can-Am, consentendo al suo titolare di metter da parte un po' di soldi per l'avventura in Formula 1; con la M7 a ruote scoperte arrivano verso fine stagione le vittorie nei gran premi d'Italia e del Canada. Della gialla Yardley McLaren Denis diventa un simbolo, anche perché Bruce il 2 giugno 1970 in prova a Goodwood trova la morte al volante della M8D. Hulme vince un altro titolo della Can-Am nel 1970 e altri quattro gran premi di Formula 1 tra il 1969 e il 1974. Intanto dal giallo Yardley siamo passati al biancorosso Marlboro, in McLaren è sbarcato il brasiliano Emerson Fittipaldi, che ha portato a Woodcote il primo titolo mondiale nel 1974, e soprattutto il neozelandese ha ormai dietro di sé 38 primavere.
Per Denis è il momento di tornare a casa, ma non di appendere il volante al chiodo. Per qualche anno partecipazioni saltuarie e poi dal 1982 il ritorno all'impegno a tempo pieno con le vetture turismo nel campionato neozelandese. Il lupo perde il pelo, ma non il vizio e così in breve ritroviamo Hulme a guidare nel 1984 una BMW in Australia per la Bathrust 1000 (secondo nella sua classe) e nel 1986 una Rover per il Campionato Europeo Turismo in qualità di pilota ufficiale del team allestito da Tom Walkinshaw. Nel 1992, a 56 anni, è ancora impegnato nella Bathrust 1000 al volante di una BMW M3 del team del suo amico Frank Gardner. È il 4 ottobre e sta piovendo.A un certo punto Hulme parcheggia la macchina a bordo pista senza però uscire. La corsa è neutralizzata, si muove l'ambulanza e piano piano arrivano notizie sull'ultimo atto della carriera lunga una vita dell'orso neozelandese. Denis ha avuto un infarto, ma ha anche avuto il tempo e la lucidità di rallentare e parcheggiare a bordo pista, prima di morire. Un altro motivo per ricordarlo.
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* Libero adattamento dalla frase finale de "La leggenda del Santo bevitore" di Jospeh Roth