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Hunger rappresenta l'esordio nel lungometraggio di Steve McQueen ( la c vezzosamente in alto) e stupisce che un uso così competente del mezzo espressivo sia ad opera di un esordiente.
Dopo una prima parte girata con uno stile volutamente piatto ( ma senza rinunciare a sequenze molto arty, anche un po' pretenziose, usate come flash da intervallare al ritmo placido della narrazione) per poter catturare al meglio la monotona quotidianità del poliziotto inglese, un servitore della regina fedele e brutale allo stesso tempo, nella seconda parte il film cambia decisamente stile e registro.
Dopo aver lasciato spazio soprattutto alle immagini e poco alle parole, dopo non aver sottratto la cinepresa praticamente di fronte a nulla quando si è trattato di seguire da vicino le violenze inenarrabili a cui venivano sottoposti i prigionieri irlandesi, vittime anche del clima di terrore in cui vivevano i sudditi di sua Maestà ( perchè naturalmente gli agenti penitenziari e comunque gli esponenti della polizia o dell'esercito inglese erano spesso bersaglio di attentati mortali), a metà del film, in posizione strategica a mo' di spartiacque, viene piazzato quello che non ti aspetti.
Il colloquio tra Bobby Sands e il prete che ha fatto chiamare è un lungo piano sequenza di 15 minuti, senza neanche la ricerca di un 'ossigenante alternanza tra campo e controcampo.
Quindici minuti in campo medio in cui i due personaggi ( grande prova di Fassbender nella parte di Sands e di Liam Cunningham in quella di padre Moran) dicono tutto quello che c'è da dire e da far conoscere sulla questione nordirlandese e sul clima in cui tutti sono costretti a vivere.
Un diluvio di parole che tuttavia non annoia, prende quasi alla gola e che illumina un racconto torbido di un periodo della storia inglese che tutti vorrebbero nascondere.
La democrazia , questa sconosciuta.
Il contrasto tra i modi affettati dell'agente protagonista della prima parte del film e la sua furia nell'applicarsi al suo lavoro ( far soffrire il più possibile i detenuti nordirlandesi) è la visualizzazione di questa schizofrenia antidemocratica , uno stato di guerra civile che è stato mascherato ostinatamente da criminalità comune .
Il tutto sotto gli occhi del mondo che ha protestato flebilmente ma alla fine è stato solo a guardare la fine di Bobby Sands e degli altri suoi compagni assieme a lui.
Nell'agonia dell'attivista non c'è nessun compiacimento nonostante la potenza beluina di immagini talmente "forti" che rimangono impresse nella memoria.
Steve McQueen non cerca il clamore dell'eccesso anche se si sofferma con la sua telecamera su dolorosissime piaghe da decubito.
E il corpo smagrito, smunto, scarnificato di Sands/ Fassbender, avvolto in quel lenzuolo /sudario , ferito ma non annullato ha un che di cristologico.
Anche se Bobby Sands non sarebbe mai stato, nè mai avrebbe voluto diventare un Gesù Cristo dei nostri giorni.
Non avrebbe voluto neanche diventare un martire della libertà ma vivere serenamente e veder crescere suo figlio.
Per chi non conosce la figura di Bobby Sands questo film è un ottimo inizio per sapere qualcosa su di lui.
Per chi già ne conoscesse la storia , Hunger ne rinsalderà la memoria col suo flusso geometrico di immagini che pesano come pietre.
( VOTO : 8 / 10 )
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