Poche settimane e ho concluso la lettura del primo romanzo della saga Hyperversum, scritto dalla italianissima Cecilia Randall (alias Cecilia Randazzo).
Se devo essere sincero non ho ancora un parere definitivo su questo romanzo e punto su questo post per riuscire a chiarirmi un po’ le idee.
L’idea che sta alla base di Hyperversum è molto carina, di certo originale (anche se non unica nel suo genere). Tuttavia, il romanzo non ha mai quel guizzo, quella scintilla che ti fa stare con il fiato sospeso. Tutto è già scritto, facilmente immaginabile. Nel tentativo di lasciare intuire al lettore qualcosa, gli si disvela l’intera trama e si perde il gusto del “colpo di scena”. L’unica scena che lascia con il fiato sospeso è collocata a poche pagine dalla fine, quando tutto sembra volgere alla conclusione. Ma anche in questo caso, un lettore smaliziato intuisce per tempo come si svolgeranno i fatti e si prepara all’evento.
La scrittura di Cecilia Randall è scorrevole, immediata, schietta. Un pregio e un difetto. Un pregio perché rende la lettura piacevole e mai noiosa; un difetto perché capita spesso di ritrovarsi in mezzo a dialoghi che di “medievale” hanno poco e niente.
L’esperimento della Randall è ambizioso – senza dubbi –, forse troppo, al punto che in alcuni tratti sembra che l’autrice possa perdere da un momento all’altro il controllo della sua creatura, ritrovarsi sbandata in un mondo che non padroneggia totalmente, vittima dell’irruenza dei suoi stessi personaggi, cavalieri dei nostri giorni, un po’ troppo pseudo-americani per risultare credibili e per condividerne principi e atteggiamenti. Ian è troppo ligio e perbene (il tipico eroe senza macchia e senza paura), Daniel è un po’ troppo spalla, Isabeau è troppo dama, Jodie è troppo apprensiva. In una parola ci troviamo di fronte a un eccesso di stereotipi.
L’amicizia (il tema principale che muove l’opera) è un sentimento puro e splendente, senza zone di grigio, senza ombre, senza umanità.
Hyperversum non è un fantasy propriamente detto e non è un romanzo storico. Si colloca nel solco tra i due generi e ne sposa le due concezioni senza contaminarsi troppo né con l’uno né con l’altro. Anche se, forse, nei suoi panni avrei osato di più.
Hyperversum non è un libro malvagio, anzi, è una lattura piacevole, che intrattiene il lettore offrendogli qualche ora di svago, nonostante tutte le evidenti lacune di un’opera prima. Sono curioso di leggere i successivi capitolo della storia (Il falco e il leone e Il cavaliere del tempo), voglio saggiare l’evoluzione che di certo avrà avuto la scrittura di Cecilia Randall e vedere come si concluderanno le avventure di Ian e Daniel, presi nella Rete di Hyperversum.